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Operata alla colecisti ma aveva un tumore, medico di Agrigento rinviato a giudizio

L'intervento avrebbe provocato lesioni al fegato mortali per la donna

A processo con l’accusa di omicidio colposo: il gup del tribunale di Agrigento, Stefano Zammuto, ha disposto il rinvio a giudizio del chirurgo Antonio Limblici, 33 anni, imputato nell’ambito dell’inchiesta per la morte di Febbronia Cirami, la sessantanovenne deceduta il 12 marzo dell’anno scorso all’ospedale di Agrigento, dove era stata trasferita in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni di salute. La prima udienza del dibattimento è stata fissata per il 12 aprile davanti al giudice Alessandro Quattrocchi.

Altri tre medici dello stesso reparto, attraverso i loro difensori (Liblici è assistito dagli avvocati Daniela Posante e Antonella Zanchi, nel collegio anche i legali Roberto Tricoli, Francesco Miceli e Liborio Paolo Pastorello), hanno chiesto il giudizio abbreviato: per loro l’udienza prosegue l’8 marzo. Si tratta di Fabrizio Cremona, 35 anni; Alfonso Maurizio Maiorana, 67 anni e Mauro Ettore Zanchi, 59 anni.

La paziente, secondo quanto ipotizza il pubblico ministero Chiara Bisso, sarebbe stata operata alla colecisti nonostante un quadro clinico complesso dovuto a un tumore che non sarebbe stato diagnosticato pur in presenza di un “quadro chiaro” dopo la Tac. L’intervento, peraltro, avrebbe provocato lesioni al fegato mortali per la donna. In un primo momento erano indagati altri medici in servizio all’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento ma la Procura ha ritenuto, dopo avere esaminato la consulenza del proprio medico legale Giuseppe Ragazzi, di restringere il cerchio delle responsabilità ai soli chirurghi che l’hanno operata.

La vicenda scaturisce da una denuncia presentata dai familiari della donna attraverso il loro legale Calogero Meli. La settantenne si è presentò il 21 gennaio del 2020 al pronto soccorso dell’ospedale di Canicattì accusando dei forti dolori addominali. In quella circostanza le sarebbero stati diagnosticati dei calcoli alla cistifellea e fu dimessa dopo avere programmato l’intervento per l’ultimo giorno del mese. In realtà, dopo un paio di giorni, la donna tornò in ospedale perchè accusava – secondo la ricostruzione dei fatti – nuovi dolori. Questa volta venne ricoverata e sottoposta ad accertamenti. La Tac, secondo quanto denunciato dalla donna, fu svolta solo dopo quattro giorni. Infine, completati altri accertamenti, si procedette con l’intervento. Nei giorni successivi il figlio della vittima si sarebbe accorto di una perdita ematica. La paziente, quindi, venne trasferita all’ospedale San Giovanni di Dio ma le sue condizioni si aggravarono e, dopo alcuni giorni di coma, morì.


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