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Balneari, in Sicilia è battaglia per “l’ultima spiaggia”

Con un emendamento al ddl Concorrenza, infatti, il Cdm ha prorogato le concessioni attuali fino al dicembre del prossimo anno e dal 2024 si procederà con assegnazioni tramite gara

Appena sulla soglia di uscita dalla pandemia, la battaglia politica e sociale si sposta sulle spiagge italiane, e questa volta il Papete non c’entra nulla. O quasi, perchè riaffiora lo schema che vede il centrodestra a difesa di interessi consolidati dei lidi privati e il centrosinistra schierato con la linea della libera concorrenza sulla via indicata dall’Unione europea. E forse mai come in questo caso, la politica è specchio delle tensioni e delle pulsioni dei cittadini, di quelli che il mare lo vogliono privato e a pagamento e di quelli per i quali, invece, la striscia di sabbia che precede il tuffo è ‘l’ultima spiaggia’ del diritto al mare.

“Questa riforma è stata preparata in maniera frettolosa e disattenta. Stiamo lavorando per farla modificare ma ovviamente non staremo con le mani in mano: impiegheremo tutti i mezzi leciti per contrastare le decisioni che reputiamo inique, inapplicabili e dannose”: le imprese balneari siciliane sono sul piede di guerra, spiega all’AGI Ignazio Ragusa, presidente regionale Sib (sindacato italiano balneari), che non nasconde i timori per il deciso cambio di rotta da parte del governo in tema di concessioni balneari.

Con un emendamento al ddl Concorrenza, infatti, il Cdm ha prorogato le concessioni attuali fino al dicembre del prossimo anno e dal 2024 si procederà con assegnazioni tramite gara. Una scelta “sconcertante” perché “un periodo transitorio di appena due anni non sono nulla – prosegue Ragusa – e il tempo che si vuole concedere per formulare questo nuovo assetto è assolutamente risibile, se si considera poi che l’attuale sistema è frutto di decenni. A nostro avviso questo potrebbe causare la desertificazione del settore – che oggi conta circa 30 mila imprese in tutta Italia – scatenando una guerra fra ricorsi e nuovi soggetti che non hanno maturato esperienza: penso alla cattiva gestione del servizio di salvataggio o alla mancata pulizia dei lidi”.

Un altro rischio sarebbe rappresentato dalle aziende provenienti dall’estero “che potrebbero ‘impossessarsi’ delle coste italiane, un po’ come è successo in Giappone o Grecia”. Ma secondo Ragusa il primo ostacolo alla riforma appena nata è rappresentato dalla mancata ricognizione delle aree demaniali affidate ai privati: “Lo Stato non ha ancora provveduto alla mappatura e quindi non saprebbe nemmeno cosa mettere a bando”, ragiona Ragusa, per il quale servirebbero, a seconda delle regioni, da “un minimo di 5-7 anni a un massimo di 15-20 anni. Nel frattempo, si potrebbero far proseguire le aziende attuali e provvedere a identificare le aree non ancora assegnate: in Sicilia oltre il 50 per cento delle coste sono fruibili e concedibili”.

Di avviso diametralmente opposto è Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, per il quale la nuova riforma è “un’ottima notizia e finalmente l’Italia sarà in linea con l’Unione Europea. So che già ci saranno delle resistenze o interpretazioni fantasiose dell’autonomia siciliana per ostacolare questa riforma ma ormai non si può più tornare indietro. Il presidente Draghi è molto ligio alle corrette indicazioni che vengono dalla Ue è questa è molto chiara: entro il 2024 devono partire i nuovi bandi. In Sicilia siamo andati avanti a colpi di deroga facendo finta di non saperlo. Finalmente il governo si è occupato di questa materia e lo sta facendo in maniera molto seria – conclude – finora non era stato così”.

I gestori di lidi temono che l’ingresso di grandi gruppi possa essere un colpo per i piccoli. “Per la nostra categoria è un colpo durissimo da digerire e non mi riferisco solo al Decreto del Consiglio dei Ministri ma anche alla recente sentenza del Consiglio di Stato su questo settore” dice all’AGI Santino Morabito, presidente provinciale della Fiba Messina.

“Questa sentenza – aggiunge -annulla le misure amministrative con le quali negli ultimi due anni erano state prorogate le concessioni, praticamente le rende nulle gettando nel vuoto un comparto che conta migliaia di imprese: il settore è di nuovo nell’incertezza, ha problemi con gli investimenti, con il credito nei confronti delle banche perché sapendo della proroga di 15 anni delle concessioni gli imprenditori della balneazione hanno iniziato a fare investimenti accollandosi mutui e prestiti, contando sulla possibilità di avere una connessione di lunga durata e adesso ci viene negata”.

Un giudizio negativo anche sulla riforma, e si spera in un aggiustamento in Parlamento, che potrebbe arrivare dalla mozione presentata dal centrodestra: “La riforma per ora è una bozza – aggiunge – sappiamo che c’è la disponibilità ad una mediazione rispetto a quello che sono gli interessi della categoria”.

Messina è una realtà paradigmatica di quello che accade in altri posti. Se andiamo a vedere le 30 concessioni demaniali nel comune di Messina, per esempio, i concessionari sono imprenditori della balneazione che da anni portano avanti una realtà che è l’unica fonte di reddito, mentre i grandi imprenditori che fatturano milioni di euro sono una realtà residuale che si riduce a pochissime aree del paese qualcosa in Toscana, in Sardegna, in Liguria ma non rappresenta la stragrande maggioranza delle migliaia di aziende balneari che ci sono in Italia”.

Morabito sottolinea che altri paesi europei hanno invece difeso questo settore: “E’ un fenomeno che si sta verificando solo in Italia, gli altri paesi che sono i competitor dell’Italia specialmente nel bacino nel Mediterraneo e che sono all’interno dell’Unione europea, hanno protetto questo segmento economico: la Spagna, la Croazia, il Portogallo. Quest’ultimo paese ha fatto una riforma sull’utilizzo del demanio marittimo per rinnovare le concessioni per 70 anni, in Spagna hanno inserito il diritto di successione nella concessione demaniale e sono dentro l’Unione europea: mi chiedo perché l’Italia debba portare avanti un’operazione di questo tipo e chi ne trarrebbe vantaggio”.

“L’industria della balneazione – afferma – è stato inventato in Italia, fino a 15 anni fa ogni 10 ombrelloni che si aprivano nel Mediterraneo 7 si erano in Italia: adesso siamo passati a quattri perché con l’incertezza normativa degli ultimi anni c’è stata una contrazione degli investimenti”. Le nuove norme sulle concessioni demaniali non sposteranno molto la possibilità per i cittadini di utilizzare spazi pubblici ceduti ai titolari di lidi.

“La Sicilia non ha limiti – dice all’AGI Paolo Tuttoilmondo di Legambiente – per le spiagge in concessione, ma ha affidato quasi 200 nuove autorizzazioni per stabilimenti balneari negli ultimi due anni e mezzo, oltre a 61 concessioni per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici”.

Legambiente Sicilia ha presentato una memoria al Consiglio dei Ministri ed alla Commissione Europea per chiedere l’impugnativa della legge regionale che prevede di rilasciare nuove concessioni demaniali marittime nelle more dell’approvazione dei Piani di Utilizzo del Demanio Marittimo (Pudm) da parte della Regione, che, dal canto suo, si è schierata nettamente contro la riforma definendola “iniqua”. Secondo l’esponente di Legambiente, in questo modo i Comuni hanno avuto carta bianca con il rischio di “gravi alterazioni ambientali in quanto i piani proposti dai Comuni ed ancora non approvati definitivamente dalla Regione possono contenere previsioni in contrasto con le norme di tutela ed essere profondamente modificati nella fase successiva di approvazione” “Legambiente chiede la moratoria – spiega all’AGI Paolo Tuttoilmondo – delle nuove concessioni demaniali marittime in assenza dei Piani ed inoltre il commissariamento di tutti i comuni costieri che non hanno ancora adottato i Pudm che si sarebbero dovuti redigere da oltre 15 anni ai sensi della legge regionale 15 del 2005”.

Per Legambiente il rischio di una alterazione delle spiagge e della coste è ormai elevatissimo. “I litorali sono dei delicati ecosistemi naturali – dice Tuttoilmondo – e non il semplice substrato fisico su cui realizzare strutture di ogni tipo e che le spiagge vanno considerate come beni comuni, da gestire in modo ambientalmente sostenibile e da tutelare nell’interesse di tutta la collettività, sottraendole alle forme di aggressione di cui sono un esempio centinaia strutture balneari private”.

A Siracusa, città che attorno al mare ha costruito la sua storia e la sua vocazione turistica, la situazione non è delle più semplici, considerato che sulle spiagge sorgono molti stabilimenti balneari. “La dissennata espansione urbanistica – dice all’AGI l’esponente di Legambiente – e le attività industriali oltre a compromettere quasi irrimediabilmente le risorse ambientali, alla lunga hanno finito per limitare sempre di più la stessa possibilità di fruizione del mare da parte dei siracusani. A ciò bisogna aggiungere i sempre più vasti tratti di costa interdetti alla balneazione per ragioni geomorfologiche, ampli tratti lungo la penisola Maddalena e a Fontane Bianche, per legge aree portuali”.

Inoltre, Siracusa non ha ancora il Piano spiagge. “Era stata redatta una bozza dall’amministrazione precedente che si limitava a compiere una ricognizione dello stato della costa, senza prevedere né misure di tutela né di salvaguardia per la pubblica fruizione del litorale. In ogni caso se ne sono perse le tracce”.


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