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È morto “Maraschino”, il primo pentito di Cosa nostra agrigentina

Nessun manifesto funebre a differenza di quando, nel 1997, l'intera città fu ricoperta di annunci funebri per la "morte" di "Maraschino", diventato collaboratore di giustizia

È morto a San Severino Marche (Macerata), stroncato da un male incurabile, Pasquale Salemi, 66 anni, di Porto Empedocle, detto “Maraschino” (come il liquore che amava tanto bere), primo pentito della mafia agrigentina che spianó la strada a una lunga stagione di collaboratori di giustizia. Salemi è stato tumulato a Porto Empedocle dopo un semplice rito funebre, costituito da una benedizione, nel cimitero davanti a pochi intimi.

Nessun manifesto funebre a differenza di quanto avvenne nell’ormai lontano 1997 quando l’intera città, dopo la diffusione della notizia della collaborazione con la giustizia, fu ricoperta di annunci funebri riportanti la “morte” di “Maraschino” come messaggio intimidatorio. Condannato all’ergastolo per l’omicidio di Antonio Messina, “u birgisi”, a Realmonte, Maraschino inizia a traballare. Dissidi sopraggiunti con l’allora capo mafia Luigi Putrone, che lo “posò”, hanno accelerato il pentimento.

Nel maggio 1997, Salemi si presenta alle porte degli inquirenti e comincia la sua strada da collaboratore. Neanche un anno dopo scatta la prima grande operazione antimafia nell’agrigentino, Akragas I, che infligge un durissimo colpo alla mafia del suo paese d’origine. Salemi fu un collaboratore di giustizia particolarmente controverso. Oltre a rimediare una condanna per calunnia tenne fuori dalle sue rivelazioni su trame mafiose e omicidi i componenti della famiglia Messina, suoi parenti. Nel 2015 il ministero lo toglie dal programma di protezione. Ancora una volta, forse l’ultima, Maraschino compie l’ennesima giravolta: viene pizzicato, infatti, a contattare parenti e conoscenti di Porto Empedocle per ottenere informazioni sullo stato di Cosa nostra e poter girare a proprio vantaggio quanto appreso. Salemi viene ulteriormente intercettato mentre, al telefono con una donna pregiudicata, indicava la via, oltre a chiederle di fornirgli un pc, per “vendere” collaboratori di giustizia. In sostanza avrebbe cercato persone da inserire nel programma di protezione per poi spartirsi i contributi economici che lo Stato fornisce ai pentiti.


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