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Duro colpo al clan di Brancaccio: 31 arresti in un blitz a Palermo

Nel blitz antimafia di stanotte, azzerato il vertice del mandamento di Brancaccio, regno incontrastato – un tempo – dei fratelli Graviano

Vasta operazione antimafia stanotte contro la cosca del mandamento di Brancaccio. Polizia di Stato e carabinieri hanno eseguito 31 arresti (29 in carcere e 2 agli arresti domiciliari) nei confronti di persone accusate, a vario titolo, di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, detenzione e produzione di stupefacenti, detenzione di armi, favoreggiamento personale ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Il provvedimento – emesso dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo – segue il provvedimento di fermo eseguita nel luglio 2020.

L’operazione riguarda il mandamento di Brancaccio che comprende le “famiglie” mafiose di Brancaccio, Corso dei Mille e Roccella. Ma il provvedimento riguarda anche la famiglia mafiosa di Ciaculli. La Squadra Mobile di Palermo e il Servizio centrale operativo della Direzione centrale anticrimine della polizia di Stato hanno eseguito le misure, oltre che a Palermo, anche a Reggio Calabria, Alessandria e Genova.

Nel blitz azzerato il vertice del mandamento di Brancaccio, regno incontrastato – un tempo – dei fratelli Graviano. Le indagini della polizia hanno consentito di ricostruire gli assetti delle famiglie mafiose di Brancaccio, identificando i probabili vertici, gregari e soldati, che si sarebbero occupate della gestione del “pizzo” e della gestione delle numerose piazze di spaccio a Brancaccio, tutte attività necessarie al mantenimento dell’associazione dei suoi sodali e delle famiglie di quelli detenuti.

Tra i destinatari personaggi del calibro di Giovanni Di Lisciandro – ritenuto al vertice della cosca – Stefano Nolano, Angelo Vitrano e Maurizio Di Fede, quest’ultimo sarebbe il “responsabile operativo” per il settore delle estorsioni e del traffico di droga. Oltre 50 – dicono gli investigatori – le estorsioni documentate ai danni di titolari di esercizi commerciali, dimostrativi che le attività produttive della zona sono sempre oggetto di attenzione dell’articolazione mafiosa e molti esercenti, dal piccolo ambulante abusivo fino all’operatore della grande distribuzione, ma anche nei confronti dello “sfincionaro” che dopo avere ricevuto i tipici segnali (attack nelle saracinesche del laboratorio) chiede la “messa a posto”. Tra quelli documentati anche “la pervicacia dimostrata dagli estortori di Brancaccio che non avrebbero esitato ad effettuare il sopralluogo presso un cantiere edile nelle immediate vicinanze del commissariato di polizia., finalizzato alla successiva eventuale richiesta estorsiva”.

Il traffico di stupefacenti rappresenta un’importante voce di arricchimento illecito per il mandamento. Dal complesso delle attività, infatti, è stato possibile quantificare gli introiti derivanti dalle “sei piazze di spaccio dello Sperone”, con un ricavo presunto di circa 80mila euro settimanali e di accertare la provenienza di parte dello stupefacente a opera di due Calabresi, destinatari dell’ordinanza. In tale ambito sono stati eseguiti, in più occasioni e a titolo di riscontro, 16 arresti in flagranza per detenzione di sostanza stupefacente e sequestrati circa 80 Kg di droga tra cocaina, purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana per un valore sul mercato di oltre 8 milioni di euro.

Afferma il gip di Palermo: “Non ci si può infine esimere dal rimarcare che costituisce plastica dimostrazione di come la scelta di vita degli indagati sia fondata, già in termini culturali e “ideali”, proprio su un principio di contrapposizione ai fondamenti della libertà democratica e al rispetto delle regole, il reiterato utilizzo delle parole “sbirro” o carabiniere” quali vere e proprie offese che si ritrova in più conversazioni intercettate”. L’odio e il rifiuto nei confronti dello Stato – la magistratura e le forze dell’ordine – è tale in questo contesto, da impedire alla propria figlia di partecipare con la classe alle iniziative per commemorare la strage di Capaci.
Un fatto avvenuto, nello stesso contesto e già noto, nel maggio del 2019: durante i preparativi per il ricordo della strage di Capaci e via D’Amelio, al boss veniva prospettata l’intenzione della moglie di un affiliato di far partecipare la figlia alle relative iniziative scolastiche sul 23 maggio. La reazione dell’uomo d’onore fu feroce: dopo aver apostrofato la parente dell’affiliato come “sbirra”, sottolineò come lui non avesse mai prestato il consenso alla partecipazione a queste iniziative, definite “vergogne”, ribadendo che loro non potevano “immischiare le carte con Falcone e Borsellino”.

I carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Palermo si sono occupati – nell’ambito dell’indagine antimafia sfociata negli arresti di stanotte – della famiglia mafiosa di Ciaculli. Sono cinque i provvedimenti eseguiti dall’Arma nei confronti di soggetti – ritenuti direttamente legati a Giuseppe Greco e Ignazio Ingrassia – che, forti dei loro storici legami con “Cosa Nostra”, sarebbero stati in grado di coadiuvare i due vertici nella gestione del mandamento mafioso e nella conduzione delle attività illecite che alimentavano le casse della famiglia mafiosa di Ciaculli.

Fra i cinque destinatari di misura cautelare figurano, infatti, Francesco Greco, direttamente legato per connessioni parentali ai vertici del mandamento, e Emanuele Prestifilippo. Stupefacenti e “sensalerie” le attività classiche per foraggiare la cassa della famiglia ma i carabinieri avrebbe tratto parte del suo sostentamento anche dalla gestione delle acque irrigue, impropriamente sottratte direttamente alla conduttura “San Leonardo”, di proprietà del “Consorzio di Bonifica Palermo 2”. Gli affiliati alla famiglia mafiosa di Ciaculli sarebbero, infatti, intervenuti direttamente sulle condotte del consorzio, forzandole e – secondo le indagini dell’Arma – incanalando l’acqua in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini operanti nell’agro Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate. Tale circostanza, oltre a costituire un guadagno illecito per l’organizzazione mafiosa, avrebbe permesso alla famiglia mafiosa di Ciaculli di accreditarsi verso numerosi produttori agricoli, ergendosi a punto di riferimento per la gestione di uno dei beni essenziali per eccellenza: l’acqua.

Ulteriore “affare” sul quale gli uomini di Ciaculli avrebbero imposto il controllo, è stato rintracciato nella gestione delle piattaforme di gioco per le scommesse on-line illegali. Dalle indagini è anche emerso che la compagine mafiosa avrebbe avuto anche a disposizione un vero e proprio arsenale di armi. Eseguito anche il sequestro preventivo del capitale sociale, dei beni aziendali e dei locali, per un presunto valore complessivo di circa 350.000 euro in quanto frutto di intestazione fittizia, nei confronti di imprese ed esercizi commerciali, tra i quali una rivendita di prodotti ittici, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse.


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