La Cassazione ha confermato gli ergastoli per il brutale omicidio di Alina Elena Bità, uccisa a Cerda (Palermo) il 9 ottobre 2017. La donna, che aveva 28 anni ed era di origini rumene, fu uccisa da due connazionali, cugini del marito: Paul Andrei Todirascu, oggi di 23 anni, e Florin Buzilà, di 24. Inizialmente il decesso della giovane, madre di una bimba che all’epoca aveva 11 mesi, sembrò essere stato causato da un malore improvviso, ma dei segni violacei sul collo avevano indirizzato gli inquirenti verso l’ipotesi della morte violenta, confermata dalle successive indagini.
L’omicidio avvenne in casa, in assenza del marito di Alina, Constantin Gheorghe Bità, al lavoro nei campi in quel momento. I due assassini, all’epoca giovanissimi e poco più che maggiorenni, volevano rubare i pochi soldi che la vittima aveva con sé, 200 euro, più un anello e un paio di orecchini. Al momento del delitto c’era in casa solo la bimba piccolissima, che era in una stanza diversa da quella in cui fu uccisa la mamma: fu proprio il pianto incessante della piccola ad attirare l’attenzione dei vicini, che chiamarono i carabinieri. Una traccia del dna di Todirascu fu poi individuata dal Ris sotto un’unghia della giovane donna, che aveva lottato inutilmente per difendersi.
Todirascu nel corso del processo confessò ma né questo né il rito abbreviato, all’epoca consentito anche per questo tipo di reati (con la possibilità di una riduzione di pena), aveva evitato l’ergastolo a lui e al complice. La Suprema Corte ha ribadito anche il diritto al risarcimento dei danni, che dovrà essere ricevuto dai prossimi congiunti della Bità, costituiti parte civile con l’assistenza dell’avvocato Giuseppe Minà.
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