Trent’anni fa la strage di Capaci e oggi Palermo e tutto il Paese ricordano le vittime degli eccidi di mafia del 1992, di quei 57 giorni che tra il 23 maggio e il 19 luglio sconvolsero l’Italia. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli otto agenti delle scorte Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Emanuela Loi, Claudio Traina, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano.
Memoria e impegno dunque con una giornata, sul palco speciale allestito al Foro Italico di Palermo, dedicata alle commemorazioni e alla “promozione sociale della memoria”.
Stamane, intorno alle 9, la ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, accompagnata dal capo della polizia Lamberto Giannini, ha deposto una corona di alloro alla Stele di Capaci, lungo l’autostrada che collega l’aeroporto alla città. Le note del silenzio suonate con la tromba da un poliziotto, hanno sottolineato l’intenso momento. Presente anche il prefetto di Palermo, Giuseppe Forlani.
Dopo la commemorazione, nel complesso monumentale dello Spasimo, nel quartiere Kalsa e a meno di trecento metri dal palco centrale, il convegno organizzato dal Ministero degli Esteri sul “Programma Falcone-Borsellino”, iniziativa italiana per il contrasto al crimine nei Paesi latinoamericani e caraibici, con il ministro degli Esteri Di Maio e gli esponenti delle forze di polizia di numerosi Paesi centro e sudamericani.
Dalle 12.30 alle 13, dalle 14.30 alle 16.30 e poi dalle 19 fino alle 20.15 dal palco centrale del Foro Italico le testimonianze civili e culturali di partner del progetto della Fondazione Falcone, di artisti dello spettacolo, di esponenti del mondo giornalismo, delle imprese, della scuola. Prevista la partecipazione di Gianni Morandi, Malika Ayane, Matteo Romano, Giovanni Caccamo, Brass Group, Lidia Schillaci, Picciotto e Lsda, Mario Incudine, Frankie Hi Nrg, Othello, dell’artista Paolo Belli e dell’attore teatrale Alessandro Ienzi.
Dalle 17 alle 18 circa, in attesa dell’ora dell’esplosione di Capaci, raduno davanti all’Albero Falcone. Esibizione, tra gli altri, di personaggi del mondo della musica come Gianni Morandi, Giovanni Caccamo, Malika Ayane e Matteo Romano e dello spettacolo come I Sansoni e Roberto Lipari. Presenti anche Maria Falcone e il presidente della Camera Roberto Fico. Alle 17.58, ora della strage, un trombettista della Polizia di Stato suona il Silenzio in onore delle vittime e verranno letti i nomi dei caduti negli attentati di Capaci e di Via d’Amelio. Alle 19 Messa per le vittime della Strage di Capaci nella Chiesa di San Domenico a Palermo.
“A 30 anni dalla strage di Capaci il giudice Giovanni Falcone continua a guidare la lotta alla mafia. Il suo coraggio rivive ogni giorno nel desiderio di riscatto della sua Sicilia e dell’intero Paese”. Lo ha dichiarato la presidente del Senato, Elisabetta Casellati. “Il 23 maggio del ‘92, l’esplosione che uccise il magistrato, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillio e Antonio Montinaro, colpì duramente l’Italia, ma travolse anche Cosa Nostra. L’intuito, la determinazione e il sacrificio di Falcone, ci indicano la strada per reprimere il fenomeno mafioso alimentando quella rivoluzione pacifica che parte dai più giovani, dalle scuole per arrivare al cuore di tutta la società nel segno della legalità”.
“Questo è un giorno che ha cambiato la storia del nostro Paese. È un giorno che segna per l’Italia un cambio di passo e di rotta. È un giorno di sofferenza collettiva e personale. Credo che le vite di ognuno di noi da quel giorno siano un po’ cambiate”. Lo ha detto il presidente della Camera Roberto Fico al suo arrivo al Foro italico di Palermo. “Bisogna insistere sempre per cercare la verità, dobbiamo trovare tutta la verità, perché la verità significa giustizia, e la giustizia significa consapevolezza di quello che siamo” ha aggiunto.
“Il modo principale per sconfiggere la mafia è portare qui i ragazzi e farli studiare e fare avere loro le parole di libertà contro Cosa nostra. Ricordare quindi è importante perché non si vince una battaglia una volta per tutte ma bisogna vincerla ogni giorno”. Lo ha detto il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi al suo arrivo al Foro italico di Palermo per la cerimonia nel trentennale delle stragi di Capaci e via d’Amelio. “Abbiamo più di mille ragazzi che da tutta Italia sono venuti qui e ci sono più di 1400 lenzuola preparati da tutte le scuole d’Italia che ricordano quella che è la pedagogia della legalità”, ha aggiunto.
“La scuola è la sfida più grossa alla mafia. Tutto il nostro lavoro è dedicato a fare della scuola il centro del nostro paese e quindi della pedagogia della legalità. Non soltanto rispettare le leggi, ma essere la legge”. Ha detto poi il ministro dell’Istruzione al Gr1 su Rai Radio1. Tra i temi trattati nell’intervista anche quello delle risorse per finanziare attività per la legalità, “per poter permettere alle associazioni di esprimere liberamente le proprie attività, da oggi in avanti. Facendo vedere quanto sono stati i martiri, ricordandoli. La cultura è essa stessa la sfida alla mafia, la scuola è la sfida alla mafia. È la sfida più grossa. La mafia vive di povertà, di povertà educativa, materiale”. Ai professori e agli insegnanti che lavorano nelle periferie più difficili, il ministro dice: “Raccontate. Fate che i vostri ragazzi raccontino. Fate che abbiano il possesso della parola. State facendo una funzione importantissima per questo nostro paese. State dando le parole e la voce a coloro che non l’hanno”.
“Nelle scorse ore ho avuto un colloquio telefonico con la professoressa Falcone per annunciarle con rammarico l’impossibilità di partecipare alla manifestazione di commemorazione dei trent’anni della strage di Capaci. Sono stato costretto a prendere questa decisione per evitare che qualche facinoroso, sensibile al fascino di certe feroci parole, potesse macchiare uno dei momenti simbolici più importanti della nostra città”. Così il candidato sindaco di Palermo del centrodestra Roberto Lagalla, dopo le polemiche per il sostegno di Totò Cuffaro e Marcello dell’Utri. “Ieri dallo stesso palco in cui si terranno le celebrazioni di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta – prosegue – è stato operato nei miei confronti un premeditato linciaggio morale, camuffato da piece teatrale. Non è mia intenzione esporre Palermo a potenziali violenze. È mio dovere salvaguardare la sua immagine di fronte alle più alte cariche dello Stato e all’intero Paese. Sono profondamente addolorato per il clima d’odio che qualcuno sta alimentando strumentalmente. Auspico che da domani si torni a parlare di Palermo e delle idee per la sua rinascita. Io di certo continuerò a farlo”.
“Sono trascorsi trent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Trent’anni fa la mafia ha pensato che uccidendo quelle donne e quegli uomini, simbolo della lotta a Cosa nostra e del contrasto a tutte le mafie, avrebbe messo fine a quella grande voglia di riscatto e dignità che rappresentavano per tutto il Paese. Invece si sono sbagliati: quelle idee, quei valori hanno continuato a camminare sulle nostre gambe e sono stati riferimento importante per la Cgil e per tutto il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori”. Ad affermarlo, in un videomessaggio su Collettiva.it, il segretario generale della Cgil Maurizio Landini. “Contrastare le organizzazioni mafiose, le loro infiltrazioni nell’economia sana del Paese – sottolinea Landini – significa battersi per la dignità del lavoro, per la salute e la sicurezza dei cittadini, per garantire diritti e tutele a tutte e a tutti, come dice la nostra Costituzione”. “La Cgil c’è, e sarà ovunque si lavorerà per contrastare le mafie e per rivendicare giustizia e legalità. È nel nostro dna battersi con atti concreti, questo è il modo migliore per onorare chi ha perso la vita nelle stragi e sostenere tutti quelli che oggi, ogni giorno, rischiano di perderla per sconfiggere la mafia nel nostro Paese. A loro – conclude il segretario generale della Cgil – un grande grazie e l’impegno certo che la Cgil continuerà a essere a loro fianco”.
“L’accertamento della verità e delle responsabilità continua, non si è fermato”. Lo ha detto la ministro alla Giustizia Marta Cartabia, dal palco del Foro Italico di Palermo.“Oggi Palermo è la capitale internazionale del contrasto alla mafia e a ogni forma di crimine organizzato”. Ha detto ancora intervenendo all’evento “La vocazione globale del pensiero di Giovanni Falcone: la Proiezione internazionale della lotta alla mafia”, al complesso monumentale dello Spasimo. “Tante autorità di Paesi lontani hanno scelto di essere con noi oggi – ha proseguito – in occasione delle commemorazioni delle stragi di mafia di 30 anni fa, a testimonianza della consapevolezza che una solida alleanza internazionale è la principale chiave di volta nel contrasto al crimine organizzato”. La vostra presenza qui è “la dimostrazione di quanto ampia sia la diffusione del metodo investigativo e della legislazione antimafia ideati e sperimentati in Italia in risposta alle aggressioni di trent’anni fa e divenuti nel tempo un modello apprezzato e replicato nel mondo”. “Dalle macerie di Capaci e via D’Amelio, la Repubblica italiana si è rialzata più forte e in questi 30 anni molti sono stati i passi in avanti nel percorso di affrancamento dalle mafie. Un fenomeno complesso, pervasivo, insidioso, ma un fenomeno umano e in quanto tale non invincibile” ha detto ancora il ministro della Giustizia al complesso monumentale dello Spasimo di Palermo. “In questi 30 anni sono diventati 70 in totale gli accordi multilaterali o bilaterali sottoscritti dal ministero della Giustizia con i paesi del Sudamerica e con quelli caraibici. E altri sono in via di ratifica. Accordi diversi, che vanno dalle convenzioni per il contrasto al crimine transnazionale organizzato, all’assistenza giudiziaria o in materia di estradizioni o ancora di trasferimento di persone condannate. Accordi che hanno contribuito a rinsaldare la comune sfida alle associazioni mafiose sulla base di un assunto comune e condiviso”. Ha ricordato il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, a Palermo. “Il crimine organizzato esplora sempre nuovi territori – ha proseguito – sfrutta ogni emergenza e ogni occasione, dalla pandemia alla guerra, alla ricerca di mercati in cui trasferire le proprie ingenti ricchezze. E sceglie la destinazione valutando anche la tenuta normativa ed etica di un determinato Paese, oltre che il suo livello di cooperazione internazionale”.
“Sono passati 30 anni. Sono cresciuta, la mia generazione è cresciuta, con le immagini dell’attentato che ha ucciso Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Poco dopo, lo stesso destino toccò a Paolo Borsellino e ad altri cinque agenti. Quelle immagini, che ancora oggi segnano così profondamente, sono il simbolo di una storia che dobbiamo continuare a custodire, per non ripetere gli stessi errori”. Così, sui social, la viceministro dell’Economia e delle Finanze, Laura Castelli, che prosegue: “Sono il faro della guerra alla mafia e la rappresentazione plastica di chi ha dedicato la sua vita, tutta la sua vita, nella lotta alla criminalità organizzata. Grazie al mondo della scuola, alla Fondazione Giovanni Falcone ed a tutti coloro che, ogni giorno, con tenacia e determinazione continuano ad alimentare questa memoria”. Castelli ricorda poi il Giudice antimafia citando la sua celebre affermazione “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.
“Vedevamo i colleghi della polizia nel pieno della disperazione, piangevano. E per noi è stato un intervento veramente complicato. È un ricordo questo elmetto che indossavo quando ero in servizio e che indossavo anche in quel 23 maggio, quando per ore abbiamo lavorato per estrarre i corpi degli agenti di scorta della Quarto Savona 15”. Così Pino Apprendi, ex appartenente ai Vigili del fuoco, uno dei primi con la sua squadra a intervenire sul luogo della strage di Capaci. Il ricordo di Pino Apprendi in diretta da Palermo, al Foro Italico, durante la manifestazione organizzata dalla Fondazione Falcone in occasione del XXX anniversario della strage di Capaci, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
“Il Maxiprocesso è stata una svolta, una guerra di resistenza e di liberazione messo in atto dal pool per far vedere il vero volto della mafia. È servito a far dire finalmente che la mafia esisteva: una svolta epocale che ha dato la possibilità di ottenere successivamente grandi risultati”. Lo ha detto il senatore Piero Grasso – ex procuratore nazionale antimafia e giudice a latere del maxi processo.
“La mafia non è invincibile. È destinata a finire, come diceva Falcone, ma bisogna essere molto vigili sempre, perché le mafie hanno la possibilità e la voglia di adattarsi. Bisogna capire le sembianze che possono assumere nella società civile e nelle istituzioni”. Lo ha detto la ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. “I proventi del denaro illecito rappresenta la protervia delle organizzazioni criminali. Le modifiche normative hanno avuto un seguito dopo il ’92, dopo l’eccidio di Capaci, che ha determinato uno scatto della società civile. L’urlo di dolore e la non accettazione della violenza inaudita ha provocato una reazione perché si è compreso che la posta era altissima: si trattava di tutelare la libertà dei cittadini” ha proseguito intervenendo durante la manifestazione organizzata dalla Fondazione Falcone. “La Direzione nazionale antimafia – ha aggiunto – è stato il punto fondamentale: sconfiggere la mafia è possibile, è difficile ribellarsi. Ma bisogna riuscire a sconfiggere la mentalità e una cultura che, al contrario deve essere coltivata”. “La globalizzazione sociale ed economica ha portato con sé anche la globalizzazione del crimine. Le mafie sono capaci di stravolgere le regole del mercato, di condizionare l’economia legale e il sistema democratico del Paese. Le mafie oggi raramente si fanno la guerra, più spesso si spartiscono in silenzio gli affari su scala internazionale. Noi non dobbiamo confondere questo agire silenzioso e sommerso con l’idea di un fenomeno che va ad esaurirsi. Ripeteremmo lo stresso tragico e drammatico errore che contrappose segmenti istituzionali e sociali all’azione intrapresa da Falcone durante la sua carriera di magistrato. Giovanni Falcone ci ha insegnato l’indispensabilità di una strategia comune, la necessità di condividere informazioni in un contesto di sinergica cooperazione istituzionale” ha dichiarato poi all’evento allo Spasimo di Palermo sulla cooperazione internazionale contro il crimine organizzato.
“Con Falcone c’era un raccordo professionale, ma anche un rapporto familiare che comprendeva le rispettive mogli e che cercavamo di sfruttare il più possibile, inclusi gli ultimi mesi della sua vita. Pochi erano gli amici. C’era stato un periodo apprendistato da parte mia e poi un altro periodo di collaborazione successivo. L’approfondimento della collaborazione con gli Stati stranieri, quella molto intensa con gli Stati Uniti d’America che avviò in quel periodo e che prosegue tuttora: sono questi gli insegnamenti di Falcone e Borsellino che cerchiamo di attuare e trasmettere”. Lo ha detto il procuratore di Roma, ex capo della Procura di Palermo, Francesco Lo Voi. “Da ciò che mi hanno spiegato colleghi e forze di polizia da quando sono a Roma, la situazione in certi ambienti non è troppo diversa da quella che avevo lasciato a Palermo, con: tentativi d’infiltrazione nell’economia e nella pubblica amministrazione nelle più varie forme” ha aggiunto. “Questo mi porta a fare una considerazione – ha proseguito Lo Voi – che è una domanda: parliamo di economia, pubblica amministrazione e di difficoltà in cui molte imprese si sono trovate. Ma in realtà, questo popolo che vediamo a Palermo, tutti quelli che verranno dopo di noi che ricopriranno incarichi organizzativi, istituzionali nei prossimi anni cosa se ne faranno della mafia? Quale sarà l’utilità della mafia, della ‘ndrangheta e delle organizzazioni camorristiche? Perchè in un Paese come l’Italia, che ha tutte le possibilità di potere gestire ed essere in primissimo piano in Europa e non solo dal punto di vista Istituzionale, sociale, culturale, ambientale, ci sono ancora le mafie? A che serve la mafia? Che cosa si aspetta ancora a liberarsi di questo cancro?”.
“Cosa resta dopo il ’92? E queste morti hanno prodotto dei risultati giganteschi che possano bilanciare la morte di questi uomini e donne? La lotta alla mafia non è solo un problema di forze dell’ordine e della magistratura, che hanno fatto un lavoro eccezionale, ma un modo di vivere e fin quando non avremo recuperato una intransigenza morale, le parole di Giovanni secondo cui “la mafia avrà un fine” resteranno parole, perché necessitano di una ulteriore frase: “Se tutti insieme lavoreremo…”. Se davanti agli obiettivi del potere si rinuncia a questa integrità morale in fatto di mafia, si va in un’altra direzione rispetto alla necessità del massimo di rigore e dell’intransigenza. Se allora, in quel tempo, abbiamo sentito un grande grido, oggi, ho l’impressione, sentiamo solo un gridolino…”. Lo ha detto, intervenendo al Foro Italico di Palermo, l’ex giudice Alfredo Morvillo, fratello della giudice Francesca, uccisa insieme al marito Giovanni Falcone nella strage di Capaci 30 anni fa. Alfredo Morvillo nei giorni scorsi aveva fatto riferimento al ruolo e al peso esercitato da condannati per mafia nella partita elettorale di Palermo. E tante e aspre erano state le prese di posizione. Così, il candidato sindaco del centrodestra Roberto Lagalla, per evitare – ha spiegato – polemiche e gli attacchi di “qualche facinoroso, sensibile al fascino di certe feroci parole, e per non esporre Palermo a potenziali violenze”, oggi ha reso noto di avere annunciato a Maria Falcone che non avrebbe partecipato alla manifestazione.
“La grande intuizione di Falcone è stata quella di costruire una rete a livello internazionale per contrastare le organizzazioni criminali”. Lo ha detto il ministro degli Affari esteri, Luigi Di Maio che ha poi ricordato la convenzione di Palermo del 2000 sottolineando come grazie “a quella convenzione e al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura, l’Italia è riconosciuta all’unanimità a livello internazionale come Paese guida nel contrasto alle organizzazioni criminali e alla corruzione”. “Sicuramente oggi il pensiero va a Marcelo Pecci, il procuratore antimafia assassinato in viaggio di nozze qualche settimana fa nel Paraguay, uno di quei rappresentanti delle forze giudiziarie che si sono formati con noi” ha proseguito Di Maio ricordando il pm antinarcos ucciso in Colombia, uno delle centinaia di magistrati provenienti dall’America Latina e dai Caraibi che hanno preso parte al programma di “contrasto al crimine organizzato” Falcone-Borsellino.
“Sono trascorsi trent’anni da quel terribile 23 maggio allorché la storia della nostra Repubblica sembrò fermarsi come annientata dal dolore e dalla paura. Il silenzio assordante dopo l’inaudito boato rappresenta in maniera efficace il disorientamento che provò il Paese di fronte a quell’agguato senza precedenti, in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’iniziativa dal titolo “La memoria di tutti. L’Italia, Palermo trent’anni dopo”, promossa dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone. “Del tutto al contrario di quanto avevano immaginato gli autori del vile attentato, allo smarrimento iniziale seguì l’immediata reazione delle Istituzioni democratiche. Il dolore e lo sgomento di quei giorni divennero la drammatica occasione per reagire al violento attacco sferrato dalla mafia; a quella ferocia la nostra democrazia si oppose con la forza degli strumenti propri dello Stato di diritto. Altrettanto significativa fu la risposta della società civile, che non accettò di subire in silenzio quella umiliazione e incoraggiò il lavoro degli investigatori contribuendo alla stagione di rinnovamento” ha detto il presidente della Repubblica. “Neanche questo la mafia aveva preventivato – ha proseguito –. Come non aveva previsto il movimento culturale che, a partire da quei giorni, ha animato il Paese, trasformando questa dolorosa ricorrenza in un’occasione di continua crescita per promuovere nuove forme di cittadinanza attiva. Per questo vorrei ringraziare, in particolare, Maria Falcone, che – con la fondazione da lei presieduta – si adopera affinché la memoria di Giovanni Falcone e del suo sacrificio non sollecitino soltanto un ricordo ma contribuiscano ad alimentare l’impegno per l’affermazione dello Stato di diritto anzitutto nella società civile”. “Nel 1992 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono colpiti perché, con la loro professionalità e determinazione, avevano inferto colpi durissimi alla mafia, con prospettive di ulteriori seguiti di grande efficacia, attraverso una rigorosa strategia investigativa capace di portarne allo scoperto l’organizzazione. La mafia li temeva per questo: perché avevano dimostrato che essa non era imbattibile e che lo Stato era in grado di sconfiggerla attraverso la forza del diritto”. Ha affermato ancora Sergio Mattarella. “L’impegno contro la criminalità non consente pause né distrazioni”. Il Capo dello Stato ha sottolineato che “onorare oggi la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vuol dire rinnovare quell’impegno, riproponendone il coraggio e la determinazione. L’impegno contro la criminalità non consente pause né distrazioni. Giovanni Falcone diceva che “l’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza”. Agiva non in spregio del pericolo o alla ricerca di forme ostentate di eroismo bensì nella consapevolezza che l’unico percorso possibile fosse quello che offre il tenace perseguimento della legalità, attraverso cui si realizza il riscatto morale della società civile. La fermezza del suo operato nasceva dalla radicata convinzione che non vi fossero alternative al rispetto della legge, a qualunque costo, anche a quello della vita. Con la consapevolezza che in gioco fosse la dignità delle funzioni rivestite e la propria dignità. Coltivava il coraggio contro la viltà, frutto della paura e della fragilità di fronte all’arroganza della mafia”. “Falcone – ha ricordato – non si abbandonò mai alla rassegnazione o all’indifferenza ma si fece guidare senza timore dalla “visione” che la sua Sicilia e l’intero nostro Paese si sarebbero liberati dalla proterva presenza della criminalità mafiosa. Questa ‘visione’ gli conferiva la determinazione per perseguire con decisione le forme subdole e spietate attraverso le quali si manifesta l’illegalità mafiosa”. “Falcone era un grande magistrato e un uomo con forte senso delle istituzioni. Non ebbe mai la tentazione di distinguere le due identità perché aveva ben chiaro che la funzione del magistrato rappresenta una delle maggiori espressioni della nostra democrazia e, in qualunque ruolo, ha sempre inteso contribuire, con competenza e serietà, all’affermazione dello Stato di diritto”. Così, ancora, Sergio Mattarella. “La portata della sua eredità – ha proseguito il Capo dello Stato – è resa evidente anche dalle modalità della celebrazione di oggi, attraverso la quale viene rinnovato l’impegno contro la mafia”. Falcone e Borsellino, ha aggiunto, “avviarono un nuovo metodo d’indagine, fondato sulla condivisione delle informazioni, sul lavoro di gruppo, sulla specializzazione dei ruoli; ciò consentì di raggiungere risultati giudiziari inediti, ancorati ad attività istruttorie che poggiavano su una piena solidità probatoria”. Falcone “fu il primo ad intuire e a credere nel coordinamento investigativo sia nazionale sia internazionale, quale strumento per far emergere i traffici illeciti che sostenevano economicamente la mafia” ha detto ancora il presidente ricordando la sessione conclusiva della Conferenza dei Procuratori europei, dedicata alla commemorazione di Giovanni Falcone due settimane fa a Palermo. “Le visioni d’avanguardia, lucidamente “profetiche”, di Falcone non furono sempre comprese; anzi in taluni casi vennero osteggiate anche da atteggiamenti diffusi nella stessa magistratura, che col tempo, superando errori, ha saputo farne patrimonio comune e valorizzarle”.
“Da queste drammatiche esperienze si dovrebbe trarre un importante insegnamento per il futuro: evitare di adottare le misure necessarie solo quando si presentano condizioni di emergenza”. “È compito delle istituzioni – di tutte le istituzioni – prevedere e agire per tempo, senza dover attendere il verificarsi di eventi drammatici per essere costretti a intervenire”. Per il Capo dello Stato “è questa consapevolezza che dovrebbe guidare costantemente l’azione delle Istituzioni per rendere onore alla memoria dei servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la tutela dei valori su cui si fonda la nostra Repubblica. Anche l’ordinamento giudiziario è stato modificato per attribuire un maggior rilievo alle obiettive qualità professionali del magistrato rispetto al criterio della mera anzianità, non idoneo a rispondere alle esigenze dell’Ordine giudiziario. Le esperienze innovative di quegli anni si sono tradotte, all’indomani dei drammatici attentati, in leggi che hanno fatto assumere alla lotta alla mafia un livello di incisività ed efficacia mai raggiunto fino ad allora. Con la determinazione di fare giustizia, facendo prevalere il diritto, ripristinandolo. Per consentire alle persone pienezza di libertà e maggiori opportunità di futuro contro la presenza delle mafie che ne ostacola e talvolta ne impedisce l’effettiva libertà” ha concluso il presidente della Repubblica.
“Parlare ai ragazzi per spiegare chi erano Falcone e Borsellino per me non è difficile. Ho avuto l’onore di conoscerli entrambi. Conoscevo il loro carisma, sapevo chi erano. Li ho visti lottare, non per successo personale, ma per ridare dignità ad un popolo”. Così Angelo Corbo, uno degli agenti che faceva parte della scorta di Falcone che è sopravvissuto alla strage di Capaci. Corbo è ospite del flash-mob con 1500 studenti, organizzato dalla Fondazione Antonino Caponnetto, che ricorda, a 30 anni dalla scomparsa, l’eroe dell’antimafia nella tenuta di Suvignano. “Permettete di ricordare Gaspare Cervello, Paolo Capuzza, Giuseppe Costanza e Antonino Vullo che sono sopravvissuti insieme a me di quelle due maledette stragi. Spesso non tenuti in considerazione”, ha proseguito. “Oggi sono qui. Ma per 30 anni ho cercato di eclissarmi in questa giornata che spesso è fatta tanto per dire: “Io c’ero. Io mi batto il petto senza dire cosa vuol combattere la mafia”. Oggi però sono qui ed ho accettato questo invito”, ha detto Corbo parlando del 30esimo anniversario della strage di Capaci. “Falcone era amareggiato. Sapeva che poteva contare solo su qualche amico e qualche parente. Ma sicuramente sapeva che poteva contare sulla sua scorta. Noi eravamo lì, a fare da scudo”, ha aggiunto il poliziotto. “Quel giorno c’era un sole splendido, stavamo percorrendo una strada che costeggia il mare – ha continuato – della mia bellissima città: Palermo. Era un giorno stupendo, denso dei colori che la mia terra riesce a regalare. Sapevamo che ogni volta in cui prelevavamo Falcone c’era un rischio: lui non era morto il 23 maggio. Ma era morto già prima. E la goccia che ha fatto capire che era arrivato il momento, era stata nel dicembre del 1991, quando gli fu diminuita la scorta e tolti alcuni mezzi di difesa”.
“Trent’anni dopo questo spartiacque terribile, dove la polizia, l’autorità giudiziaria e le altre forze dell’ordine hanno continuato le loro attività investigative, mi piace anche ricordare la società civile e i ragazzi nella presa di coscienza del fenomeno e nella voglia di ribellarsi”. Lo ha detto il capo della Polizia, Lamberto Giannini, intervenendo a Palermo alla manifestazione organizzata dalla Fondazione Falcone, in occasione del XXX anniversario delle stragi di mafia. “Questo è un momento che richiede particolare attenzione – ha aggiunto Giannini – anche per le conseguenze della pandemia. C’è stato e c’è un momento di grave crisi e si possono registrare dei tentativi di infiltrazione anche immettendo dei capitali per approfittarsi degli imprenditori in difficoltà. A questo abbiamo reagito e stiamo lavorando. Nell’ambito del Dipartimento di pubblica sicurezza è stato istituto un centro di monitoraggio con le altre forze di polizia, carabinieri e Guardia di finanza – ha proseguito – questo scambio di informazioni è fondamentale per avere una linea di tendenza e oltre a questo è fondamentale la continua presenza sul territorio delle forze dell’ordine, essere tra la gente e vicino alla gente, percepire le difficoltà ed essere poi pronti a intervenire”. “È sempre un’emozione forte tornare a Palermo. E per noi i ragazzi i ragazzi delle scorte ma anche tutte le vittime della mafia e del terrorismo e del dovere, sono per noi un esempio costante. E ci teniamo molto a mantenere vivo questo ricordo. Perchè spesso capita, il nostro non è un lavoro semplice, di dover prendere delle decisioni che poi magari provocano tante discussioni: avere dei punti di riferimento, gente che ha fatto il proprio dovere fino in fondo per noi è importante e costituisce un momento di grande serenità e esempio” ha detto ancora il capo della Polizia conversando con i giornalisti alla caserma Lungaro, sede dell’Ufficio Scorte. Poco prima, con la ministro dell’Interno Luciana Lamorgese era stata deposta una corona di alloro in memoria dei martiri della polizia, dinanzi alla lapide che li ricorda. Presenti anche tanti familiari delle vittime e numerose autorità civili e militari.
“È fondamentale scegliere da che parte stare, raccontare le storie che sembrano tristi ma sono anche di grandissimo, valore, generosità, senso del dovere. Per noi che questa auto continui ad andare in giro, essere vista dai ragazzi e nelle scuole, significa mantenere in vita e ancora in servizio tutti quelli che si sono sacrificati. Col loro esempio aiutano tanti ragazzi a comprendere e a dare un senso del valore delle istituzioni e degli ideali da portare avanti” ha dichiarato dinanzi alla teca che contiene i resti della Quarto Savona 15, l’auto di scorta che precedeva la blindata di Giovanni Falcone. “La pandemia ha aperto nuovi scenari per tutti. Ha creato momenti di crisi, di grande difficoltà, problemi economici per molte aziende e copiosi investimenti da parte dello Stato e dell’Europa. Sta noi vigilare e operare per cercare di far si che questi fondi non vengano intaccati e distolti alla comunità e a quello che servono”.
“Trent’anni, d’accordo. Io però, sono sincero, sento il rischio che un velo d’ipocrisia avvolga questa giornata. La prima ipocrisia: una memoria senza verità è solo liturgia. E noi su Capaci (e su via D’Amelio) abbiamo verità minime, consolatorie, inoffensive. E un fatto, giudiziariamente acclarato, che la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino rispondesse a urgenze e interessi non solo mafiosi. Eppure sul ruolo che apparati dello Stato ebbero in quelle stragi sappiamo poco, pochissimo”. Lo afferma il presidente della commissione Antimafia dell’Assemblea Regionale siciliana, Claudio Fava, per il quale, “i vertici della nazione, che questa mattina si sono dati festoso e commosso appuntamento a Palermo, dovrebbero pretendere dalle istituzioni che essi rappresentano un atto di onestà morale e di verità. Così non è stato in questi trent’anni. Non conosciamo le catene di comando dei servizi che acconsentirono alla manipolazione delle indagini, né gli affidavit politici che ricevettero dal governo dell’epoca. Abbiamo fatto finta di credere che il più clamoroso depistaggio della storia italiana sia opera di un funzionario e di due ispettori di polizia, gli unici imputati a Caltanissetta per le menzogne su via D’Amelio”. La seconda “ipocrisia”: l’eredità di Giovanni Falcone. “sbriciolata”. La procura nazionale antimafia “è un ufficio di molta forma e pochissima sostanza, mai capace in questi anni di svolgere almeno quella funzione di coordinamento tra le procure distrettuali che la legge le attribuisce. E l’attacco all’ergastolo ostativo è un altro pezzo di quella eredità che si smarrisce. La terza ipocrisia: questo nostro piccolo, livoroso consesso dell’antimafia di diritto (e di pochissimi fatti)”. Fava attacca anche “i frequentatori dei più imbarazzanti pregiudicati per mafia che poi trattano queste giornate di memoria come se fosse una domenica delle palme, vestito lustro e via in chiesa e al convegno con faccia di circostanza”. Insomma, “molte fanfare e nessuna verità”.
“A 30 anni dalla Strage di Capaci, l’Italia riscopre la propria essenza di comunità attorno alle figure di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti della scorta caduti. Quel giorno ognuno di noi ebbe la sensazione di qualcosa di terribilmente irreversibile ma, al tempo stesso, la consapevolezza della necessità di una vera e propria rivoluzione sul piano sociale, etico e legislativo. Lo dichiara il senatore di Forza Italia ed ex presidente del Senato Renato Schifani. “Quando ero un giovane avvocato, ho avuto l’onore di conoscere Giovanni Falcone che, al tempo, era giudice alla sezione fallimentare di Palermo: il ricordo che ho di lui è quello di un grande rigore unito a una visione lucida e lungimirante. Quell’immagine, ancora oggi, è l’emblema di una lotta che non possiamo dire vinta nonostante i molti passi in avanti compiuti anche dal punto di vista legislativo con l’approvazione da parte del Parlamento di rigorose leggi di contrasto alla mafia. Ecco, dunque, che giornate come quella di oggi non sono una mera testimonianza, ma il momento per rinnovare quel patto sociale al quale ciascuno è chiamato a dare il proprio contributo”, conclude.
“Grazie alla Fondazione Falcone per questa bella, straordinaria giornata di memoria ma anche di di militanza, di partecipazione, mettendo in priorità i temi della giustizia, della legalità, dello sviluppo, della qualità e della stabilità del lavoro”. Lo ha detto il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra a Palermo nel suo intervento alla manifestazione a trent’anni delle stragi mafiose di Capaci e via d’Amelio. “Viviamo questa giornata a 30 anni delle stragi di Capaci e di via d’Amelio con lo stesso spirito civile e sociale che vivemmo all’indomani della strage di Capaci quando il sindacato confederale italiano proclamò una grande giornata di mobilitazione, uno sciopero generale in tutta Italia nei settori pubblici e privati. C’era molta paura, tanta rabbia e smarrimento rispetto allo strapotere di “cosa nostra” ed all’attacco micidiale che aveva sferrato al cuore delle istituzioni. Proclamammo una grande giornata di mobilitazione nazionale e organizzammo quella che oggi si ricorda come la più imponente manifestazione sindacale del Mezzogiorno: a Palermo il 27 giugno 1992 portammo più di cento mila lavoratori e lavorarici che arrivarono da tutte le aree del Paese. Gridammo quel giorno dal palco e per le vie della città che l’Italia si doveva costituire parte civile ed è l’impegno che rinnoviamo ancora oggi con un forte richiamo alle istituzioni: dobbiamo consolidare e rafforzare l’azione repressiva contro le mafie, contro ‘ndrangheta, camorra” ha aggiunto.
“Siamo grati all’ impegno straordinario che magistratura e forze dell’ ordine hanno messo in campo in questi anni, determinado risultati importanti. Ma la repressione da sola non basta, va accompagnata con la crescita, lo sviluppo, la qualità e stabilità del lavoro perché legalità e sviluppo sono facce della stessa medaglia: per questa ragione chiediamo alle istituzioni di investire sul Mezzogiorno. Un bambino che nasce allo Zen di Palermo deve avere gli stressi diritti di cittadinanza di un bambino che nasce a Bergamo. Sviluppo, lavoro, istruzione: questo il senso del nostro impegno che rinnoviamo in questa giornata straordinaria. Tra qualche giorno apriremo a Roma il congresso confederale della Cisl: abbiamo dedicato uno spazio di confronto e di discussione sui temi della cultura della legalità da far vivere anche negli ambienti lavoratovi e nelle comunità locali e firmeremo quel giorno con la professoressa Maria Falcone un’intesa di partecipazione per progetti che vogliamo sostenere nelle scuole, negli ambienti lavorativi, nelle comunità locali, con un grande obiettivo: la rete dei nostri delegati oltre ad assolvere compiti e funzioni sindacali, contrattuali, deve trasformasi in una rete di ‘sentinelle’ che vigilano sul terreno della cultura della legalità. Questo è il sentimento che ci impegniamo a sostenere con la Fondazione Falcone”.
“Trent’anni sono tanti e sono stati sufficienti a far cambiare una cultura radicata non soltanto in Sicilia: prima c’era la convinzione che la lotta alla mafia fosse solo un problema delle forze dell’ordine e della magistratura. Dopo la drammatica stagione delle stragi del 1992 si è capito che la lotta alla mafia impegna tutti, ogni cittadino, ciascuno nel proprio ruolo. Oggi questa consapevolezza è cresciuta, anche se l’impegno antimafia molto spesso rimane accompagnato da ipocrisia e da retorica. Io credo che l’antimafia vada predicata e praticata giorno dopo giorno nel silenzio del dovere, evitando speculazioni, per rendere omaggio al sacrificio che tante donne e tanti uomini hanno saputo e voluto compiere per fare migliore questa Sicilia e questa Italia”. Lo ha dichiarato il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, in occasione della manifestazione “1992-2022/La memoria di tutti” nel trentennale della strage di Capaci.
“Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, gli uomini della scorta tragicamente scomparsi quel 23 maggio 1992 sono il simbolo dei tanti martiri della Repubblica italiana. Sono passati trent’anni da quel giorno e ricordarlo non è solo una cerimonia, ma l’assunzione di un impegno che va praticato ogni giorno. Combattere la mafia è una militanza quotidiana, è l’orizzonte a cui il Partito democratico non smette mai di guardare. Ci siamo stati. Ci siamo ora. Ci saremo sempre. Sempre dalla parte della lotta alla mafia, a Palermo, in Sicilia e in ogni parte d’Italia”. Così Francesco Boccia, deputato PD e Responsabile Enti locali della Segreteria Nazionale, alla stele di Capaci per la commemorazione dei 30 anni dalla Strage.
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