Lamin non vuole dire nulla. Non vuole parlare. Ha paura che, se la situazione dovesse essere resa pubblica, saranno costretti a smontare, sloggiare, perdere due mesi di lavoro, la paga, un contratto. Dice: “noi siamo diversi, io sono nero e lavoro in campagna, tu un giornalista”. E vaglielo a spiegare che no, non siamo diversi perché lui lavora, io lavoro, lui vive, io vivo, lui mangia, io mangio. Ma sì, siamo diversi, perché io faccio la doccia a casa, i suoi amici e compagni di viaggio la fanno nei container all’ostello, ma lui no. Lui deve salire a Cassibile, riempire d’acqua i bidoni, camminare per almeno un paio di km, superare la ferrovia e farsi aiutare dagli amici al minivillaggio.
Certo, l’ostello è stato definito “una rivoluzione”, piace al ministero dell’Interno che lo definisce solo un primo step ma soprattutto alla Regione (“diventi una struttura permanente e un “modello” da replicare in altri territori dell’Isola”) ed è diventato un modello in Europa perché Siracusa ha detto stop alla baraccopoli.
Oddio, detto stop. Diciamo che ha migliorato la situazione forse nascondendo un po’ di polvere sotto il tappeto, un tappeto africano si potrebbe dire, senegalese quasi per la totalità. Loro, poco più di una ventina, si trovano alla fine di Cassibile: dopo il villaggio di cartapesta, è nato il villaggio fantasma. Nessuno deve sapere della loro esistenza e Lamin (che dice di avere 23 anni, ma a chi scrive resta qualche dubbio) ha paura. Pian piano che gli si parla prende fiducia, si lascia andare a qualche sfogo, piccolo, ma non vuole parlare perché ha il timore che una volta scoperti possano essere cacciati. “All’ostello non c’era più posto, noi siamo quasi tutti con un contratto regolare ma a qualcuno di noi è scaduto il permesso di soggiorno perché non ha una residenza. E non sa dove indicarla”.
Però, dice lui e conferma Mohamed – che ascolta accanto mentre lava la pentola con acqua (dal bidone, preso a Cassibile) e detersivo per piatti – “se venite tra un mese, poco prima che andiamo via, potete fare tutte le riprese che volete”. Per adesso nessun video. Nessun occhio, neanche amico, deve raccontare la condizione del minivillaggio: due stradine, pochi metri ciascuna, una quindicina di tende ombreggiate dagli alberi, tanta paura. Perché noi siamo diversi. Ma anche loro sono diversi. Sono quelli che non hanno trovato posto nel villaggio delle meraviglie, dove Abdul può farsi la doccia nel container e l’altro Mohammed, quello fortunato in questa stagione di raccolta, può dirsi felice di dividere una stanza con altre 5 persone pur di potersi fare la doccia in un altro container. Eh sì, così siamo proprio un modello da imitare.
Il sogno neanche troppo nascosto del prefetto di Siracusa Giusi Scaduto è quello di chiudere l’ostello dei migranti a Cassibile. Tra un paio d’anni, certo, il tempo di far comprendere a tutti che non si può vivere in una tendopoli e che non può essere lo Stato a doversi sobbarcare costi e oneri nelle trattative di lavoro tra privati. “Non nascondiamo la polvere sotto il tappeto, ma questa dell’ostello non è una risposta unica e definitiva al problema – spiega – Con una punta di 400 lavoratori stagionali, saremmo stati ipocriti e stupidi a pensare di risolvere così il problema”. Ecco, la politica che continua a ritenere “un modello” l’ostello dedicato ai lavoratori stagionali dovrebbe avere una visione, invece si ferma tutto alla superficie. E alle pacche sulle spalle. Facendo finta, loro sì, di non vedere cosa accade a pochi km di distanza dalla favola del villaggio di Cassibile. Quella tendopoli in cui una ventina o poco più di migranti regolari sopravvive come se nulla fosse cambiato.
L’ostello è, infatti, solo un primo step: “non abbiamo puntato sull’accoglienza (non sono migranti appena sbarcati che hanno bisogno di tutto) ma parliamo di lavoratori – spiega il prefetto -. Questa è una soluzione che permette di evitare il sorgere di quelle grandi tendopoli con situazioni sanitarie precarie non degne di questa provincia. Nel frattempo abbiamo iniziato a far emergere il sommerso, perché all’ostello si può accedere solo con permesso di soggiorno e contratto. E dal prossimo anno pensiamo anche a chiedere un contributo da parte dei lavoratori”. Nel 2023, quindi, per accedere al villaggio per braccianti bisognerà pagare. Non sarà molto, probabilmente, ci sarà modo e tempo per definirlo ma si va per questa ipotesi.
“L’ostello dei lavoratori stagionali all’interno del campo di accoglienza di Cassibile, nel Siracusano, diventi una struttura permanente e un “modello” da replicare in altri territori dell’Isola” ha detto l’assessore regionale alle Politiche sociali, Antonio Scavone, durante il tavolo tecnico a Cassibile lo scorso 27 maggio. Ecco, il timore è proprio questo: pensare a un modello da replicare senza avere in mente il progetto complessivo. Anche perché il “Protocollo per la prevenzione delle attività illecite in agricoltura e degli insediamenti abitativi spontanei”, sottoscritto a maggio 2021 con i sindaci della provincia, l’Inps, il Centro per l’impiego, l’Ispettorato del Lavoro, le associazioni di categoria, le organizzazioni sindacali e l’Ente bilaterale agricolo territoriale (Ebat) già si riferiva anche a una sistemazione alloggiativa diffusa con spazi pure in provincia (a Lentini e Pachino) con un contributo pari a 100 euro per l’affitto di una casa da parte di ogni lavoratore, ma quest’anno non ne è stato fatto uso.
“Noi abbiamo provato a dare una mano per eliminare la baraccopoli – aggiunge – ma è un problema del privato scaricato sul pubblico”. L’apertura dell’ostello a Cassibile e le misure adottate dall’Ebat (tra cui la realizzazione di una piattaforma utile a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, che potrà essere utilizzata l’anno prossimo ma che già vede una prima sensibilizzazione all’uso) hanno, infatti, rappresentato solo alcuni dei tasselli di una strategia che vuole essere più ampia ed incidere su ogni forma di illegalità nella filiera alimentare.
“Si tratta di cambiamenti culturali e di una coesistenza di forme di illegalità che stiamo cercando di contrastare non solo in agricoltura – ancora il prefetto, che da quando si è insediata ha disposto 8 interdittive nei confronti di aziende agricole cercando di intervenire a 360 gradi – ma io sono titolare di un’azione di prevenzione e non di repressione. E sono queste che favoriscono il cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno. Per questo spero già che l’anno prossimo possiamo ipotizzare di essere alla fine dell’ostello, anche perché l’obiettivo è di non creare disparità tra lavoratori italiani e stranieri”. Ecco, l’obiettivo finale non è quello di esportare l’ostello per risolvere un problema lavorativo tra privati (lavoratori e aziende) ma lasciarlo per la vera finalità cui è nato: le emergenze di Protezione civile. Ognuna delle parti chiamate in causa dovrà però fare la propria parte: Comuni, forze di polizia, associazioni datoriali, imprenditori, lavoratori. E se si incrociano domanda e offerta, allora il caporalato avrà gli anni contati.
Aver pensato a una prima soluzione ha messo in moto un percorso virtuoso e una sinergia istituzionale innescando meccanismi che portano a non subirli, i fenomeni. “Sono pronta ad ascoltare contributi costruttivi non distruttivi – conclude il prefetto Scaduto – la sinergia perfetta tra Comuni, Prefettura e forze di Polizia ha permesso l’intervento della Regione con un giornaliero controllo sanitario. E gestire una situazione con delle regole aiuta”.
Il vero obiettivo? Nel 2023 appartamenti in affitto, nessun lavoratore – italiano o straniero – in nero, sfruttato, che debba vivere in una tendopoli. Ecco, questo allora sì che sarebbe un bel modello da imitare. E da esportare.
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