Venerdì 22 e sabato 23 luglio protagonista delle Orestiadi è l’opera: due progetti molto particolari mettono in relazione la grande opera lirica con la narrazione e la riscrittura drammaturgica, attraverso due titoli indimenticabili come il Rigoletto e il Così fan tutte. Il 22 luglio (ore 21.00 – Baglio di Stefano) le Ebbanensis, duo canoro napoletano, portano in scena “Così fan Tutte” nella riscrittura musicale e scenica di Mario Tronco dell’Orchestra di Piazza Vittorio con il testo di Andrej Longo, mentre il 23 luglio (ore 21.00 – Baglio di Stefano) Marco Baliani ci racconterà in scena una storia ispirata dal protagonista dell’opera di Verdi, il suo “Rigoletto”.
Liberamente tratto dall’opera di Mozart con la regia di Giuseppe Miale di Mauro, Mario Tronco racconta così la nascita del “suo” “Così fan Tutte”: “Tutto il mio lavoro da sempre segue una linea che è quella della ricerca dell’origine che muove il processo compositivo. E questo, puntualmente, si presenta attraverso una matassa disordinata di notizie, esperienze, totalmente diverse che improvvisamente si snoda seguendo il percorso di un unico filo con cui costruire il disegno. Questo metodo io lo seguo soprattutto come musicista e mi aiuta a non pensare al Teatro come racconto che avviene mediante sequenze di scene. Il Così fan tutte mi porta a Napoli, non solo come ambientazione geografica ma come mondo musicale e linguistico. Nella Napoli libertina e cosmopolita, colta e scurrile. Il filo della matassa, questa volta, seguirà la strada tracciata dal Maestro De Simone con le sue trasposizioni della musica popolare in forma di melodramma, facendo finta che Mozart abbia ascoltato le melodie del “Così fan tutte” per strada, a Napoli, da musicisti ambulanti. A tal proposito i linguaggi adoperati saranno diversi, pur essendo attinti dalla stessa espressività napoletana. Un dialetto quotidiano realistico usato normalmente in città (sia pure oggi contaminato a diversi livelli). Con tale linguaggio si svolgeranno il libretto e i dialoghi atti a mettere in risalto una realtà quotidiana di oggi come di trecento anni fa.”
Questa storia è raccontata dalle due sorelle come fosse un lungo flash-back, l’idea di Mario Tronco è stata quella di trasformare COSÌ FAN TUTTE in una storia cantata e recitata da due sole attrici, che vestono i panni di Fiordiligi e Dorabella: “In tutta onestà – prosegue Tronco – è nata prima l’idea di affidare il ruolo di Fiordiligi e Dorabella a Serena Pisa e Viviana Cangiano, conosciute come Ebbanesis, e poi la rielaborazione musicale che è stata composta assecondando e ispirandosi al loro straordinario mondo interpretativo. Fiordiligi e Dorabella vivono dunque da sole e, da quel giorno in cui accaddero gli avvenimenti e l’imbroglio organizzato da Don Alfonso e i loro promessi sposi, è passato circa un anno. Sotto la cenere cova ancora qualche scintilla d’amore per i loro ex fidanzati, ma non per questo le due sorelle hanno intenzione di tornare con loro. La rielaborazione musicale attinge dallo stile della Musica ambulante napoletana conosciuta come “Posteggia”. Le azioni cantate e i recitativi, saranno accompagnate da un trio di corde classico di questo genere (chitarre e mandolini) e spazieranno dal tessuto popolareggiante cinquecentesco (villanelle, moresche), da quelle dell’opera buffa napoletana fino alla sceneggiata”.
Alle 19.30 spazio alla presentazione del libro: Zen al quadrato (Sellerio editore) di Davide Camarrone a cura di Beatrice Agnello. L’opera racconta una migrazione interna alla stessa città, Palermo, dal Castello San Pietro allo Zen 2 di un’intera famiglia padre, la madre, il figlio e la nonna. Dal borgo a ridosso della fortezza a guardia del vecchio porto al nuovo quartiere sorto al limite del «sacco di Palermo»: ZEN 2, Zona Espansione Nord 2. La famiglia racconta lo strappo, il viaggio, quel che succede in loro e intorno a loro: le nuove relazioni, le antiche sofferenze, nello sforzo di convivere con il nuovo.
Sabato 23 (alle ore 21.00) Marco Baliani in scena da narratore veste i panni di un altro per starci dentro dall’inizio alla fine per raccontarci il suo “Rigoletto”: “è un monologo quindi per farlo c’è bisogno di un personaggio in carne e ossa, spirito e materia – racconta Baliani -. È uno dei motivi che mi ha spinto a quest’altra impresa. Poter rivestire per una volta la pelle di un altro è una gioia particolare per me che in scena da narratore non ho mai la possibilità di calarmi interamente nelle braghe di chicchessia, sempre devo stare vigile a controllare e dirigere l’intero svolgersi della vicenda. Quando invece dirigo altri attori, loro sì, sono personaggi e li invidio sempre un po’, perché so che vuol dire poter essere un altro fisicamente e spiritualmente, una sensazione di pienezza, aver generato un altro avvicina noi uomini al mistero della duplicazione femminile.
“Dopo la proposta fattami dal Teatro Regio di Parma di occuparmi, a mio modo, di una “rilettura” di un’opera di Verdi – prosegue – mi son detto che era l’occasione buona per osare un personaggio e incarnarlo, dopo tanto tempo, tornare a mettere mano a tutte le cose che ho imparato strada facendo sul mestiere antico dell’attore e provare a costruirci sopra un testo scritto, un bel canovaccio su cui giorno dopo giorno, provando, creare un dire per niente letterario, ma concreto, materico. Compreso il trucco in faccia e il costume preso in prestito nei depositi del teatro Regio, appartenuti ai tanti Rigoletti passati da quelle parti. La seconda motivazione è stata la mia passione per gli esseri del circo, ma quei circhi piccoli, non eclatanti, non amo i “soleil” circensi fatti di effetti speciali e artisti al limite della robotica per la bellezza scultorea e bravura millimetrica del corpo. No, preferisco la rozzezza faticosa ma meravigliosa di quei circhi dove chi strappa i biglietti te lo ritrovi dopo vestito da pagliaccio e il trapezista sa anche fare giocolerie, esseri nomadi, zingarescamente affamati di vita, mi prende uno struggimento totale quando varco quei tendoni, a percepire la fatica quotidiana di un vivere precario ma impeccabile. Volevo fare un omaggio alle cadute, alle sospensioni, alle mancanze di appoggi.”
Anche quest’anno è confermato il fortunato premio di produzione under 35 #gibellinacittàlaboratorio, giunto alla sua quinta edizione, che consente al Festival di sostenere, ospitandoli in anteprima, progetti di giovani artisti siciliani. Quest’anno il vincitore Simone Corso porterà in scena, sabato 24 luglio, “Quando le porte delle case torneranno ad essere aperte” (prima nazionale) testo e regia di Simone Corso con Simone Cammarata, Carmelo Crisafulli, Paola Francesca Frasca, in collaborazione con Ass. Scena Aperta – Palermo.
Nel maggio del 2019 Antonio Stano morirà allʼospedale di Taranto dopo aver passato giorni dentro casa senza sfamarsi. A Manduria, dove abitava, Antonio era chiamato “il Pazzo” e questo bastava a tutti gli altri per “collocarlo” allʼinterno della comunità, riducendone il suo ruolo, nei risvolti più tragici di questa vicenda, a quello di oggetto del giogo di una squadra di giovani che lo perseguitavano col fine di poter filmare e condividere su WhatsApp le loro azioni. Antonio, per sfuggire loro, si era chiuso dentro casa senza più mettere piede fuori.
Quando le porte delle case resteranno di nuovo aperte prende forma da questa vicenda senza volerne tracciare la cronaca, ma cercando piuttosto di indagare le dinamiche sociali che la connotano: i beni di consumo e la cultura audiovisiva prima, i social poi, hanno ubriacato grosse fette di popolazione di benessere, marginalizzando molti dentro il proprio ego, chiusi dietro delle porte sbarrate a fare da guardia ai propri averi o dietro degli schermi dietro cui imparare a recitare un nuovo se stessi.
“I mutamenti sociali che hanno coinvolto la nostra società – spiega Simone Corso – dal primo dopoguerra sino ad oggi hanno, in qualche modo, acuito le differenze sociali e sfibrato i lacci che ricamano il tessuto della comunità cui ognuno di noi appartiene. Il potere dellʼavere premia il singolo omologando, di contro, tutti su una stessa scala di bisogni. Nel mondo degli spett-autori, in cui continuamente tutti guardiamo e produciamo contenuti, rappresentiamo e auto-rappresentiamo la nostra vita, la regia sceglie di mettere lʼaccento su questo cambiamento culturale della nostra epoca imbastendo un dialogo onesto tra scena e platea che tenta di far diventare lʼevento teatrale unʼoccasione assembleare di indagine e confronto oltre che di spettacolo”.
I biglietti sono acquistabili online sul sito www.fondazioneorestiadi.it
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