fbpx

In tendenza

Palermo, ginecologo condannato per violenza sessuale. Il giudice: “difesa oscurantista”

La seconda sezione del tribunale di Palermo gli aveva inflitto cinque anni e due mesi, assolvendolo da un secondo episodio, non ritenuto sufficientemente dimostrato

Nel corso di quella consumazione carnale, per ben quindici volte, la persona offesa manifestava esplicitamente il suo diniego. Malgrado questa volontà fosse di natura inequivocabile, il medico non aveva alcuna esitazione e proseguiva nell’atto sessuale fino a portarlo al suo conclusivo esito“. È il nucleo fondante della condanna del ginecologo Biagio Adile, di 69 anni, riconosciuto colpevole il 6 luglio di violenza sessuale aggravata: a lui la seconda sezione del tribunale di Palermo aveva inflitto cinque anni e due mesi, assolvendolo da un secondo episodio, non ritenuto sufficientemente dimostrato.

Il collegio presieduto da Lorenzo Matassa, relatore ed estensore della sentenza, ha già depositato la motivazione, in cui ricorda che l’imputato aveva ammesso il rapporto con una paziente di origini tunisine, sostenendo però che si fosse trattato di un atto sessuale consensuale. In realtà, si legge in sentenza, “il ginecologo Adile Biagio – in servizio presso la struttura medica dell’ospedale di Villa Sofia – svestì i propri ruolo e funzione professionale per intrattenere, con la paziente in cura, un rapporto sessuale.

La circostanza storica, in sé medesima, ha certezza e rilievo granitici. Non (solo) perché sia stata registrata in un file audio della persona offesa, ma – più semplicemente – perché è stata affermata come vera dall’uomo che pose in essere quelle azioni sessuali“. Proprio il file audio dimostra in modo inequivocabile la mancanza di consenso da parte della donna: mentre Adile afferma che la registrazione non terrebbe conto del tentativo di estorcergli prestazioni sanitarie gratuite e di una denuncia che sarebbe cioè strumentale. Ma nel dialogo registrato (è la tesi del tribunale) si sente Adile fare pressioni sulla paziente, dalla quale pretendeva di essere “ringraziato”: “Ti ho fatto fare la visita, super ecografia e subito! Chi l’avrebbe fatto? Mai! Il primario ti ha visitato! E questo va per me! O no?! Nervoso cosa?!”.

Nel difendersi, il ginecologo ha usato concetti degni del famoso “Processo per stupro”, il documentario-scandalo che a fine anni ’70, in televisione, aprì gli occhi di una società all’epoca alquanto arretrata, su questo fronte, sulle violenze sessuali ai danni delle donne e sul presunto “consenso successivo”: “Paradosso nel paradosso – scrivono infatti i giudici – l’imputato si avvita poi in un’idea che sembra generata in uno scenario psicologico e sociale di altri tempi medievalmente oscurantisti.

l professore Adile, ginecologo con quasi mezzo secolo di attività professionale, assume che violenza sessuale non può esservi stata perché la donna avrebbe potuto dargli ‘un morso sul glande, urlare, gridare, buttare le sedie all’aria, scassare tutto’…”. Il concetto del “morsetto” era quello richiamato dai difensori nelle arringhe per gli imputati del “Processo per stupro”. Dopo quel dibattimento andato in tv l’opinione pubblica cambiò atteggiamento e la giurisprudenza pure: e infatti Adile ora dovrà fare appello contro una condanna a oltre cinque anni.


© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo


© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni