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Morì di epatite: “Fu a causa trasfusioni, parenti risarciti”

Il coniuge aveva richiesto al ministero della Salute il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge

Morì dopo aver contratto l’epatite C a causa delle trasfusioni: i parenti saranno risarciti. Lo affermano i legali dei parenti di una donna di 46 anni che all’età di 7, dopo numerose trasfusioni di sangue, un’epatite virale acuta, poi evoluta in una infezione da epatite C divenuta cronica.

Dopo svariati ricoveri e terapie, la donna morì lasciando il marito e due bambini piccoli. Proprio il coniuge aveva richiesto al Ministero della Salute il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge, trovando però il netto “no” della Commissione medica ospedaliera preposta, che ha ritenuto “non sussistessero i presupposti”. Sulla stessa linea il Ministero, che negava l’esistenza del nesso causale “tra l’infermità contratta dalla signora ed il decesso della stessa”.

Così l’uomo, insieme ai figli, ha presentato ricorso contro la decisione con il patrocinio degli avvocati Girolamo Rubino e Daniele Piazza puntando ad ottenere tra le altre cose il riconoscimento dell’assegno reversibile per 15 anni.

A sostegno dell’azione promossa, i legali hanno prodotto numerosi documenti, tra i quali quelli che dimostrano come “l’infermità HCV correlata, presentata dalla donna, ebbe un ruolo concausale efficiente e determinante nel decesso della stessa”.

Con decreto dirigenziale del 2022 il Ministero della Salute, preso atto della documentazione posta a sostengo del ricorso proposto dagli avvocati Rubino e Piazza e del parere reso dalla commissione medica ospedaliera di Messina con cui è stata affermata l’esistenza di un nesso tra la malattia provocata dalle trasfusioni ed il decesso, ha riconosciuto i benefici richiesti.

Al momento è stata liquidata una tranche di 42mila euro, ma si aspetta la liquidazione del saldo che potrà essere impugnato se la somma versata non sarà ritenuta soddisfacente.


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