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Diffamazione, a giudizio Paolo Borrometi. Fava: “Primo passo per restituire onorabilità a Commissione Antimafia””

La vicenda ha origine da un'audizione di Borrometi in Commissione sul tema dei rifiuti e dello scioglimento di alcuni Comuni, avvenuta nei primi mesi del 2020

Il giornalista Paolo Borrometi, vicedirettore dell’Agi, è stato citato a giudizio per diffamazione nei confronti di alcuni componenti della Commissione parlamentare Antimafia dell’Ars. La vicenda ha origine da un’audizione di Borrometi in Commissione sul tema dei rifiuti e dello scioglimento di alcuni Comuni, avvenuta nei primi mesi del 2020, e che vide Borrometi e Fava, oggi candidato all’Ars per la lista Centopassi, impegnati in un botta e risposta, anche sui social, in merito alla pubblicazione di un comunicato sul sito ‘laspia.it’, fondato dal giornalista.

Secondo l’ipotesi di reato contestata, Borrometi avrebbe diffamato alcuni componenti della Commissione antimafia dell’Ars con la nota in cui il 20 aprile 2020 criticò le affermazioni di una relazione della stessa Commissione e segnalò che egli, il 15 marzo 2015, aveva effettivamente pubblicato sulla testata online da lui diretta un comunicato che secondo la Commissione, al contrario, non era mai apparso.

La citazione a giudizio diretta (cioè senza il vaglio dell’udienza preliminare) di Borrometi, siglata dal Procuratore della Repubblica di Ragusa, Fabio D’Anna, e dalla sostituta Monica Monego, è, secondo una nota di Fava, “un primo, dovuto passo per restituire onorabilità alla nostra Commissione, al lavoro svolto e allo scrupolo con cui abbiamo sempre operato“. Diverso è il punto di vista espresso dal legale di Borrometi, Fabio Repici: “Il decreto di citazione a giudizio è stato notificato stamattina alle 10:34 e già alle 11:17 è stato seguìto da un comunicato dell’on. Fava che suona note di giubilo. Per questo appare necessario fissare con nettezza alcuni elementi obiettivi”. “Nel corso delle indagini preliminari avevamo dimostrato documentalmente alla Procura di Ragusa che in periodo di poco precedente all’audizione di Borrometi davanti alla Commissione la testata online” diretta dal giornalista “era stata fatta bersaglio di una gravissima operazione di hackeraggio“. Questa tesi, spiega Repici, è “la conclusione raggiunta dalla Procura della Repubblica di Roma“. La pubblicazione contestata a Borrometi  era “stata effettivamente pubblicata il 15 marzo 2015 e quell’articolo dopo l’intrusione degli hacker era stato rimosso dagli articoli visibili e relegato nel cestino del sito (‘trash’), dove è stato recuperato dall’unico consulente tecnico che da aprile 2020 ha ufficialmente potuto accedere e ispezionare dall’interno il sistema informatico utilizzato da Borrometi”. Inoltre, continua Repici, è stata “raccolta la deposizione di un testimone che aveva effettivamente letto nel 2015 sul sito di Borrometi l’articolo che nel 2020 secondo la Commissione antimafia regionale non era mai stato pubblicato”.

Dal 15 marzo 2015 al mese di febbraio 2020, quando Borrometi fu audito dalla Commissione antimafia regionale, ragiona Repici, “mai nessuno si era accorto né si era mai lamentato di quella presunta mancata pubblicazione di cui sarebbe stato ‘responsabile’ Borrometi e la cui scomparsa è invece da ascrivere all’azione di hackeraggio di cui Borrometi è stato vittima. Ciò perché, appunto, quella pubblicazione era comparsa il 15 marzo 2015”.

Il legale del giornalista ne ha anche per i magistrati che hanno emesso il decreto di citazione diretta in giudizio per l’udienza dell’8 giugno 2023. “Davanti a questi elementi oggettivi – dice Repici – chiunque comprende che non esistevano i presupposti per la celebrazione di un dibattimento a carico di Paolo Borrometi per quella scombiccherata ipotesi di reato”. “Al Consiglio superiore della magistratura – prosegue – sottoporrò i fatti sopra descritti perché si valuti se l’emissione del decreto di citazione a giudizio, davanti alle risultanze del fascicolo, possa rientrare nel campo delle valutazioni discrezionali che un pubblico ministero compie al termine delle indagini preliminari o se invece ci siano elementi per ritenere inadeguata l’azione del dr. D’Anna come capo di un ufficio requirente e della dr.ssa Monego come pubblico ministero“. Quanto al processo, Repici sottolinea che “il Tribunale di Ragusa prenderà atto non dell’assenza di prove a carico di Borrometi ma della sussistenza di prove che dimostrano l’assoluta falsità dei fatti contestati al giornalista”.

“Magari – aggiunge – sarà l’occasione per identificare i responsabili della criminosa attività di hackeraggio compiuta ai danni di Paolo Borrometi. Insomma, magari dopo questo processo inutile e ingiusto, seppure attraverso vie contorte, si celebrerà un processo nei confronti di qualcuno che si è reso responsabile di una ignominiosa campagna di discredito di un giornalista integerrimo, vittima di un eclatante caso di character assassination che dura da qualche anno con una virulenza davvero senza pari”.

Quanto al deficit di “onorabilità” della commissione lamentato da Fava, esso, conclude il legale, “deriva dalle scelte fatte dalla maggioranza dei suoi componenti sotto la guida dell’on. Fava”.


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