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Beni confiscati: i Comuni non sono trasparenti. Al Sud il primato in negativo

Su 204 comuni destinatari di beni confiscati, sono 143 quelli che non pubblicano l'elenco e le informazioni su destinazione, uso e tipologia dei beni confiscati sul loro sito internet

I Comuni italiani tengono sempre più per sé le informazioni sui beni confiscati alla mafia, e ancora peggio fanno quelli del Sud. Il dato – reso evidente di recente dall’episodio che ha visto assegnato a un partito politico un bene confiscato nell’Agrigentino – emerge dal rapporto di Libera, che usa clemenza nel “rimandare” a un prossimo esame la trasparenza degli enti locali in un Paese che dall’utilizzo di quei beni potrebbe trarre grande giovamento.

In Sicilia si tratta di una bocciatura impietosa. Su 204 comuni destinatari di beni confiscati, sono 143 quelli che non pubblicano l’elenco e le informazioni su destinazione, uso e tipologia dei beni confiscati sul loro sito internet. Ciò significa che ben sette comuni su dieci, pari al 69,1 % (era 58% nel primo report), sono inadempienti.

Va meglio per gli Enti sovra territoriali: le città metropolitane di Palermo e di Catania pubblicano gli elenchi, mentre la Regione Sicilia non adempie in nessun modo all’obbligo di pubblicazione. La città metropolitana di Palermo, oltre all’elenco, pubblica sul sito anche i dati catastali, la tipologia, l’ubicazione, l’utilizzazione e la consistenza dei beni confiscati mentre la Provincia di Catania soltanto ubicazione e consistenza. “Sono i comuni – spiega Libera – ad avere la più diffusa responsabilità di promuovere il riutilizzo dei patrimoni. Eppure, proprio a livello comunale, le potenzialità della ‘filiera della confisca’ sono tuttora dense di ostacoli, criticità ed esitazioni”.

Libera ha monitorato il totale dei Comuni italiani al cui patrimonio indisponibile sono stati “destinati” i beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali. Su 1.073 comuni monitorati ben 681 comuni italiani destinatari di beni immobili confiscati non pubblicano l’elenco sul loro sito internet, così come previsto dalla legge, pari al 63,5% del totale. Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud Italia, comprese le isole, con ben 400 Comuni che non pubblicano l’elenco; seguono il Nord Italia con 215 comuni e il Centro con 66 comuni che non pubblicano dati. Tra le regioni meno trasparenti vi sono la Calabria, dove solo il 18,8% dei comuni pubblicano l’elenco, a seguire l’Abruzzo e il Friuli Venezia Giulia (25%), la Sicilia (29,9%) e la Toscana (29,6%).

Un approfondimento è stato fatto sulla modalità di pubblicazione dell’elenco, da cui dipende in maniera sostanziale la qualità dei dati messi a disposizione: gli open data sono ancora una chimera. Soltanto 6 Comuni che pubblicano usano un formato aperto, tra cui la città di Catania, la provincia di Catania e la città metropolitana di Palermo; 45 hanno un pdf ricercabile, mentre 12 hanno messo on line un pdf scansione.  “Garantire che la filiera del dato sui beni confiscati sia trasparente – dichiara Tatiana Giannone, referente nazionale Beni Confiscati di Libera – vuol dire dare spazio al protagonismo della comunità e della società civile organizzata, che solo conoscendo può progettare e programmare nuovi spazi comuni. Alla conoscenza del patrimonio e del territorio, del resto, è strettamente legata la capacità di utilizzare i fondi pubblici (siano essi di natura europea o di provenienza nazionale) per la valorizzazione dei beni confiscati, nella fase di ristrutturazione e in quella di gestione dell’esperienza di riutilizzo. In questi quarant’anni dalla Legge Rognoni – La Torre e ventisei anni di attività della Legge 109, dinanzi a importanti risultati raggiunti in termini di aggressione ai patrimoni delle mafie, della criminalità economica e della corruzione e a fronte delle sempre più numerose esperienze positive di riutilizzo sociale, non si deve abbassare l’attenzione sulle criticità ancora da superare e sui nodi legislativi ancora da sciogliere che richiedono uno scatto in più da parte di tutti. Il bando del Pnrr e la nuova programmazione europea delle politiche di coesione saranno, quindi, un banco di prova importante per le istituzioni tutte, ma soprattutto per il potere di monitoraggio della società civile. Siamo consapevoli – conclude Tatiana Giannone di Libera – della complessità della materia e delle difficoltà che gli Enti Locali sono costretti ad affrontare quotidianamente, sia in termini di carichi di lavoro che di risorse umane e di competenze a disposizione. Ma siamo convinti che, insieme, si possano e si debbano trovare le soluzioni utili a garantire la trasparenza”.

Libera chiama in causa l’Agenzia nazionale dei beni confiscati. “Riteniamo – spiega l’associazione – che si possa raggiungere una qualità del dato più alta usando dei modelli di elenco uguali per tutti, in questo modo la trasparenza diventerà veramente una pratica condivisa e partecipativa. Chiediamo che si possano progettare e realizzare dei percorsi di accompagnamento e formazione dei Comuni, soprattutto quelli più piccoli, per rendere i beni confiscati presidi di sviluppo sociale ed emancipazione per la comunità”.


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