Il gup di Palermo Simone Alecci ha condannato a pene complessive di poco inferiori ai due secoli di carcere trenta imputati, assolvendone altri 36, nel processo denominato “Mani in pasta”, riguardante le cosche mafiose della zona costiera di Acquasanta e Arenella, nel capoluogo siciliano. Colpite duramente – nonostante il rito abbreviato, che dà diritto a uno sconto di pena di un terzo – soprattutto le famiglie dei Fontana e dei Ferrante, clan ritenuti autori di taglieggiamenti, infiltrazioni in imprese, cooperative di lavoratori impegnati nei Cantieri navali, protagonisti anche di grandi affari immobiliari e commerciali in Lombardia, oltre che di traffici di sostanze stupefacenti, vecchia e nuova fonte di guadagno per Cosa nostra. Nell’inchiesta della Guardia di finanza, coordinata dalla Dda con i pm Dario Scaletta, Amelia Luise e Maria Rosaria Perricone, anche agenzie di scommesse, cavalli da corsa, negozi e attività commerciali intestati fittiziamente a prestanome. Alcuni dei beni sequestrati al momento del blitz, nel 2019, sono stati restituiti con la decisione del giudice Alecci. Le trentasei assoluzioni hanno evitato la mazzata invocata dalla Procura con richieste di condanna che erano state ancora più pesanti.
Questa la lista dei condannati, in ordine alfabetico: Pietro Abbagnato ha avuto 3 anni; Cristian Ammirata e Antonino Di Vincenzo un anno, sei mesi e venti giorni; Fabrizio Basile 12 anni; Fabio Chiarello e Salvatore Ciampallari 4 anni, 10 mesi e 20 giorni a testa; Salvatore Ciancio 8 mesi; Letizia Cinà 6 anni e dieci mesi; Gianpiero D’Astolfi e Salvatore Giglio 8 anni e due mesi ciascuno; Giovanni Di Vincenzo 5 anni e otto mesi; Francesco Ferrante e Giovanni Giannusa hanno avuto solo una multa: mille euro ciascuno; Francesco Pio Ferrante nove anni; Giovanni Ferrante otto; Michele Ferrante dodici; Gaetano Fontana un anno e sei mesi; Giovanni Fontana un anno e otto mesi; Giuseppe e Nunzio Gambino, Roberto Giuffrida sei anni e otto mesi a testa; Ivan Gulotta 5 anni; Roberto Gulotta 10 anni; Giovanni Mamone, Pierfulvio Pecoraro e Michela Radogna un anno e quattro mesi a testa; Sergio Napolitano, Domenico Onorato, Santo Pace, Domenico Passarello e Liborio Sciacca 12 anni ciascuno.
I condannati dovranno risarcire le associazioni che si erano schierate, come parte civile, al fianco delle vittime delle estorsioni: Federazione antiracket Fai, Centro studi Pio La Torre, associazione Antonino Caponnetto, Solidaria, Sos Impresa, Confesercenti, Confcommercio, Sicindustria e Comune di Palermo. Da risarcire anche le due parti civili private che si sono costituite nel processo.
Gli assolti sono Lorenzo e Salvatore Badalamenti; Tommaso Bassi, Giulio Biondo, Antonino Bonura, Stefano Calafiore, Filippo Canfarotta; Andrea Ciampallari; Riccardo Colombo, Giuseppe Corona (difeso dagli avvocati Antonio Turrisi e Giovanni La Bua); Paolo Attilio Remo Cotini; Danilo D’Ignoti; Lorenzo Di Salvo, Leonardo Distaso; Francesco Charles e Laura Fabio; Ignazio Ferrante (difeso dall’avvocato Turrisi), Angelo Fontana, Rita Fontana, Angela Teresi, Filippo Lo Bianco, Davide Matassa, Gianluca Panno, Emilia Passarello, Raffaele, Gaetano Pensavecchia (assistito dall’avvocato Domenico La Blasca) Luigi Pensavecchia, Gaetano Pilo, Domenico Pitti, Vittorio Stanislao Pontieri, Massimiliano Regge (difeso dall’avvocato Salvatore Ferrante); Carmelo Rubino, detto Massimo; Rosolino Ruvolo, Daniele Santoianni, Monica Schillaci e Giuseppe Spallina, difeso dall’avvocato Corrado Sinatra.
Con la sentenza Mani in pasta il gup del tribunale di Palermo Simone Alecci ha disposto “la caducazione degli effetti delle misure cautelari” imposte ai componenti della famiglia Fontana, tra i quali c’è il collaboratore di giustizia Gaetano Fontana, disponendo dunque il ritorno in libertà, oltre che del “pentito”, anche dei fratelli Angelo, Giovanni e Rita Fontana e della madre Angela Teresi. Libero anche Giulio Biondo, mentre a Pietro Abbagnato, Giovanni Di Vincenzo, Ivan Gulotta e Salvatore Ciampallari sono stati concessi gli arresti domiciliari. Fabio Chiarello lascia gli arresti in casa e avrà solo l’obbligo di dimora. Tra i beni dissequestrati e restituiti anche il cavallo da corsa Ungherese Jet. In sostanza il giudice ha aderito alle tesi difensive, secondo cui l’egemonia sulla zona costiera che comprende i quartieri di Acquasanta, Cantieri, Arenella e Vergine Maria non appartiene più alla famiglia Fontana ma a quella dei Ferrante. Tra i Fontana c’è anche il pentito Gaetano, che aveva sostenuto proprio questa versione. Questa famiglia è imparentata tanto con i Ferrante quanto soprattutto con i Galatolo, altri nomi pesanti della zona, fra i quali c’è il pentito Vito Galatolo.
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