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Al carcere di Palermo detenuti senza acqua calda né riscaldamento

Una lettera di tre pagine dei detenuti dell'alta sorveglianza, che include anche i reclusi con accuse di mafia, per sottolineare l'inciviltà delle loro condizioni

Una lettera di tre pagine dei detenuti dell’alta sorveglianza, che include anche i reclusi con accuse di mafia, per sottolineare l’inciviltà delle loro condizioni: 310 detenuti del carcere palermitano di Pagliarelli, dopo essersi rivolti a una serie di indirizzi istituzionali, sollecitano interventi seri per la situazione in cui versa la struttura, che pur essendo relativamente nuova (aprì i battenti tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90) patisce una serie di problemi di minima vivibilità. “L’istituto – scrivono nella missiva – non è funzionale nelle grandi cose come nelle più piccole e banali della quotidianità. Qui patiamo il freddo in inverno, essendo l’impianto di riscaldamento non funzionante da un ventennio, il caldo torrido in estate, non avendo a disposizione un piccolo ventilatore per trovare refrigerio, quando siamo chiusi dalle 18 alle 20 ore al giorno in piccole e invivibili celle. Patiamo anche la fame, dato che il vitto che ci viene distribuito è immangiabile”.

Altro problema della difficile quotidianità è il diritto alla salute: “C’è un solo medico di base per 1300 detenuti, possiamo chiedere la visita ogni 15-30 giorni e mancano i medici specialisti. Per una visita cardiologica, oculistica, ortopedica, esami di laboratorio bisogna attendere anni“. Cosa che mette a rischio, causa diagnosi tardive, rispetto a patologie gravi come “tumori, malattie genetiche, cardiovascolari e metaboliche”.

I detenuti citano Nelson Mandela e Sergio Mattarella, e si rifanno alle parole con cui lo storico statista sudafricano e il presidente della Repubblica avevano ricordato che per misurare la civiltà di un Paese bisogna partire dalle carceri (Mandela) e che la sicurezza dei cittadini dipende anche dal reinserimento e dalla rieducazione del condannato (Mattarella). Come raggiungere questi obiettivi, si chiedono i firmatari della lettera, se “ci viene negato pure il diritto di mantenere l’igiene personale”, visto che “le celle sono sprovviste di acqua calda e docce” e ci si può lavare solo “in locali affollati e dove non c’è un minimo di riservatezza?”. “In queste condizioni – conclude la lettera – il principio riabilitativo della pena è solo pura utopia. Qui siamo al Pagliarelli, ci viene detto, come se questo penitenziario non fosse sul suolo italiano”. Per tutti questi motivi, i 310 firmatari, chiedono un’ispezione che potrebbe servire a capire se al Pagliarelli ci sia una “lesione dei diritti umani. Aiutateci a essere trattati come persone umane”. Con una grafia diversa, alla fine, qualcuno ha aggiunto che nei bagni manca il ricambio d’aria, le ventole per l’aspirazione sono rotte, e “i cattivi odori rimangono”.


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