Perquisizioni dei carabinieri nella casa di famiglia di Matteo Messina Denaro, a Castelvetrano, dove il boss ha passato gli anni precedenti alla latitanza e dove viveva con la madre. Trovati i classici occhiali da sole Ray Ban, con i ‘vetri’ marroni, altre lenti, una foto nota del boss da giovane con quegli occhiali, accanto a quella del padre Francesco, una bottiglia di Champagne, libri tra i quali “Facce da mafiosi”.
“Le responsabilità e le risposte sono scritte tutte nella cartella clinica della Repubblica italiana. Per la quale – mi pare evidente – non c’è schema di terapia che possa condurre a guarigione”. Lo scrive, nella sua pagina Facebook, in una sorta di lungo sfogo personale, Alessia Randazzo, responsabile Area legale Affari generali della Clinica la Maddalena di Palermo, dove Matteo Messina Denaro si sottoponeva a cure chemioterapiche presentandosi come “Andrea Bonafede” e dove il 16 gennaio è stato arrestato insieme con l’autista.
“Al signor Andrea Bonafede – aggiunge – avrei da dire una sola cosa: se, facendoti prestare una vita che non meriti, nel cammino della malattia ti fossi specchiato in ognuno dei tuoi errori, adesso parla, fallo ora che sai che non manca molto al momento in cui quel bambino e tutti gli altri te li ritroverai davanti”. Poi se la prende con le illazioni piovute sulla clinica: “Ci sono persone che da oltre vent’anni escono di casa ogni mattina per servire e non per apparire e che con il loro lavoro hanno dimostrato concretamente che il miglior medico in Sicilia non è più l’aereo. Non è la prima, né sarà l’ultima volta che saremo chiamati a pagare un prezzo per i nostri sforzi, per quel peso quotidiano che ci opprime l’anima, ma che abbiamo imparato a trasformare in abbraccio. Le spalle oramai si sono fatte larghe”.
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