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Don Pino Puglisi, 10 anni da beato: “l’uomo al centro”

E il prossimo 15 settembre saranno trent'anni dall'omicidio del parroco ucciso nel giorno del suo 56esimo compleanno dalla mafia di Brancaccio

Sono passati dieci anni. Il 25 maggio del 2013, nel grande prato verde del Foro Italico, che guarda il mare, è stato beatificato padre Pino Puglisi, davanti a 100 mila persone. E il prossimo 15 settembre saranno trent’anni dall’omicidio del parroco ucciso nel giorno del suo 56esimo compleanno dalla mafia di Brancaccio.

Inscindibili, la passione per Cristo e quella per l’uomo hanno sospinto il cammino di 3P durante tutta la sua esistenza. Una vitale e feconda urgenza interiore che si faceva prassi quotidiana. E che emerge nitida dalle riflessioni rivolte ai giovani in cerca della propria vocazione durante i campiscuola degli anni Ottanta, dalle parole di coraggio e speranza pronunciate a Brancaccio, come da quelle scomode rivolte alla politica assente. Ecco alcuni passaggi.

LIBERTA’
“Gesu’ ci ama: e l’amore profondo c’è sempre nonostante il rifiuto e l’incomprensione. Gesù propone, non impone. Lascia liberi, liberi di sbagliare, di seguire una propria scelta. La nostra non e’ una religione delle regole: il libero arbitrio e’ fondamentale. L’uomo è legato a Dio da un filo sottilissimo e, quando pecchiamo, il filo si spezza. Quando ci pentiamo, Dio fa un nodo al filo e il filo si accorcia e cosi’ siamo piu’ vicini. Questo non significa che dobbiamo peccare per essere piu’ vicini a Dio. Però il fatto che noi pecchiamo è nella norma. Perché l’uomo è così, è debole, è limitato. A volte è disposto a dare la vita, poi di fronte al pericolo retrocede, ha paura. Dio invece conserva la sua amicizia e aspetta, aspetta il pentimento. Pentimento che non significa ‘mea culpa, mea culpa’, ma ripresentarsi con un nuovo desiderio”.

COSA FARE DELLA NOSTRA VITA? “Ognuno di noi ha dei talenti che non vanno seppelliti, ma scoperti e fatti fruttificare. E allora come usiamo la nostra intelligenza, quali scelte facciamo con la nostra volontà? Quali valori vogliamo mettere al centro della nostra vita? Questo dobbiamo chiederci: come vogliamo vivere questa vita? La vogliamo sprecare o la vogliamo adoperare per qualcosa di grande, di bello? Ogni passo è quindi una scelta. A volte bisogna anche affrontare qualcosa che non ci piace per un’utilità futura, non immediata. Gesù dice: se il chicco di grano non cade nella terra e non marcisce, rimane solo, cioé non dà frutto. Se invece cade nel terreno e lì muore, un chicco diventa una spiga. E’ la stessa logica della vita vera, della vita di Gesu’, che ha portato molto frutto perché è morto. Morendo sulla croce e risorgendo ha dato come frutto la rigenerazione dell’umanità”.

QUANTI BISOGNI…
“C’è nella parrocchia un buon fermento di persone impegnate in un cammino di fede e in un servizio liturgico, catechistico e caritativo, ma i bisogni della popolazione (8 mila abitanti) sono molto maggiori delle risorse che abbiamo. Vi sono nell’ambiente molte famiglie poveri, anziani malati e soli, parecchi handicappati mentali e fisici, ragazzi e giovani disoccupati senza valori, senza un senso della vita, tanti fanciulli e bambini sono preda della strada, ove imparano devianza e violenza. Che cosa fare per venire incontro a tante necessità? Assieme ad alcuni membri della comunita’ abbiamo pensato a un centro polivalente di accoglienza e di servizio” (Lettera ai tanti amici che invita a dare una mano a Brancaccio, 4 ottobre 1991).

CARI AMICI CARCERATI
Cari amici del quartiere Brancaccio detenuti in questa casa circondariale, in occasione del Natale desideriamo farvi sapere che in questi momenti anche noi rivolgiamo il nostro pensiero a voi e alla vostre condizioni di spirito. Comprendiamo la vostra sofferenza. A Natale è forte il pensiero di stare insieme con i propri cari. E’ nostra intenzione, se ci sarà permesso e se voi lo vorrete, venirvi a trovare per portarvi una parola di conforto, e vorremmo che, quando sarete liberi, questo contatto continui nel Centro di accoglienza, perché riteniamo che incontrandoci e parlandoci si possono creare le condizioni di spirito per vivere con quella serenita’ necessaria per affrontare in maniera diversa le difficolta’ della vita. Serenità che porterebbe senz’altro la pace oltre che a voi, anche alle vostre famiglie. Buon Natale” (Lettera ai detenuti di Brancaccio, 24 dicembre 1992).

“CONTINUEREMO A PREMERE”
Adesso il centro è come una piccola e gracile piantina appena nata che lotta con fatica contro le intemperie, ma che con il tempo crescerà, prenderà consistenza, diverrà forte e piena di ramificazioni. Sono proprie le future attività i rami del centro. Come cristiani, come volontari, come cittadini, continueremo a chiedere alle autorità locali ciò che è dovuto a questo quartiere. Il nostro servizio in questa realtà assume una veste di supplenza riguardo alle gravi carenze sociali che sono emerse. Non possiamo restare inoperosi davanti alle urgenti necessità locali, nell’attesa che arrivino gli aiuti che questo quartiere da tempo attende” (10 febbraio 1993, dodici giorni dopo l’inaugurazione del Centro Padre nostro).

POLITICA IRRESPONSABILE
“Signor presidente della Repubblica siamo cittadini del quartiere Brancaccio di Palermo, definito dai mass media il ‘Bronx di Palermo’ e ‘il quartiere a più alta densità mafiosa’. La classe politica continuando a rimanere statica e insensibile di fronte a questa grave situazione sociale, si rende responsabile di una societa’ cosi’ fatta che è in grado di fornire manovalanza alla criminalita’ organizzata. Il primo atto del Comitato intercondominiale della via Hazon è stato la presentazione di richieste (firmate dai cittadini): scuola media, distretto socio-sanitario di base, aree ricreative per giovani e anziani, spazi verdi e vigili di quartiere. Non può il potere politico porsi in termini di ordinaria quotidianità di fronte a un così grave problema sociale. Le chiediamo di intervenire personalmente nei confronti dei politici per metterli di fronte alle proprie responsabilità” (Lettera al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, 23 luglio 1992).

MARTIRIO
Testimoniare Cristo può anche diventare martirio. E se andiamo all’etimologia greca, vediamo che martire è proprio il testimone. Dalla testimonianza al martirio il passo è breve, anzi è proprio il martirio che da’ valore alla testimonianza. Gia’ Cristo ha reso testimonianza dell’amore di Dio donando la sua vita. Ha avuto un amore così grande da donare la vita. Anche gli uomini, i discepoli, con il proprio sangue, possono dare testimonianza della fedeltà a Cristo”.

LA FOLLIA DELLA GIOIA
Ma con tante sofferenze, ingiustizie, è possibile parlare di gioia? Noi siamo chiamati a scoprire i beni che sono nel mondo, sviluppandoli in noi e negli altri, e a farli fruttificare mettendo ovunque speranza. La gioia e’ allora possibile, è come un propellente che viene messo dentro di noi; e’ il saperci consolati da Dio, è la sicurezza di essere nelle braccia di un padre, di saperci vicini a un amico che ci guarda sempre sorridente e non ci abbandona mai; un amico che e’ venuto a morire per noi sulla terra. E’ difficilissimo morire per un amico, ma morire per dei nemici è ancora più difficile. Cristo però è morto per noi quando ancora eravamo suoi nemici: Dio rimane sempre con noi, è la costanza dell’amore fino all’estremo limite, anzi senza limiti. Ecco il motivo della nostra gioia”.


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