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Gli ambientalisti sul Ponte sullo Stretto: “Una tassa costosa e ingiustificata”

I punti di debolezza del progetto di ponte a unica campata del 2011 redatto dal General Contractor Eurolink (capeggiato da Webuild - afferma il dossier - furono indicati nel 2021 dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile

Il progetto del Ponte sullo Stretto voluto dal governo ha costi ingiustificati da uno scarso flusso di traffico, tanto realizzare nei fatti una tassa sul trasporto ferroviario poichè la sua costruzione sarà tutta a carico dello Stato; è in grado di bloccare il traffico commerciale marittimo dall’Oceano Indiano; ha un impatto sull’ambiente e sul paesaggio e servono sia una nuova Valutazione di impatto ambientale sia una nuova procedura di gara. Inoltre – sostengono Wwf, Lipu e Kyoto club in un articolato dossier – il Ponte non è fattibile dal punto di vista ingegneristico, e i provvedimenti che hanno dato il via libera al progetto hanno vizi di incostituzionalità.

“L’approvazione del decreto legge voluto dal governo che rilancia il progetto del 2011 del ponte ad unica campata sullo Stretto di Messina – spiegano le associazioni – non supera le criticità di fondo sollevate dagli ambientalisti sulla insostenibilità dal punto di vista ambientale, economico-finanziario e sociale dell’opera”. Si tratta di “un’opera dal costo elevatissimo e ingiustificato (14,6 miliardi di euro, quasi un punto di PIL), di cui non è stata ancora dimostrata la costruibilità e non è finanziata, che si vuole realizzare con una procedura di Valutazione di Impatto Ambientale addomesticata e bypassando l’obbligo di gara per l’affidamento al general contractor”

I punti di debolezza del progetto di ponte a unica campata del 2011 redatto dal General Contractor Eurolink (capeggiato da Webuild – afferma il dossier – furono indicati nel 2021 dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile (MiMS): l’ubicazione dell’opera nel punto di minima distanza tra Sicilia e Calabria che allontana l’attraversamento dai baricentri delle aree metropolitane di Messina e Reggio Calabria; il vento, relativamente alla stabilità dell’impalcato e agli eventi sismici (in una delle aree a più elevato rischio sismico del Mediterraneo); la necessità di realizzare un ponte sospeso con una luce maggiore del 50% di quella del ponte più lungo ad oggi realizzato al mondo.

Il franco navigabile.
Un’infrastruttura con un “franco navigabile”, in condizioni di massimo carico, di 65 metri com’è nel progetto attuale – spiegano le associazioni –  bloccherebbe il transito delle più grandi portacontainer in rotta dall’Oceano Indiano verso Gioia Tauro, il più importante scalo italiano di transhipment. Inoltre – si legge nel dossier – le grandi portacontainer in partenza da altri porti italiani (Genova, Napoli, Livorno e Salerno), dovendo circumnavigare la Sicilia, subirebbero un aggravio del costo e dei tempi di navigazione. Innalzare l’impalcato di 15 metri (per avere la certificazione del franco navigabile) comporterebbe una riprogettazione integrale dell’opera.

Il costo e la gara.
Secondo gli ambientalisti non è possibile la reviviscenza del contratto con il General Contractor (GC) caducato ex lege nel 2013, ma serve una nuova procedura di gara. Il limite massimo entro cui il valore può crescere senza gara è di poco più di 9 miliardi di euro,  ben al di sotto dei 14,6 miliardi di euro (quasi un punto di PIL) indicati dal governo nel Def.

La procedura di valutazione di impatto ambientale – si legge nel ossier –  va rifatta dal principio, sostengono gli ambientalisti, visto che come viene stabilito nel Codice dell’ambiente, sono passati oltre cinque anni senza che il progetto sia stato realizzato e il provvedimento VIA deve essere reiterato nel  rigoroso rispetto dell’art. 9 della Costituzione che tutela il paesaggio, l’ambiente e l’ecosistema.

Il valore naturalistico e il paesaggio.
La creazione di una barriera trasversale, qual è il ponte, alla migrazione e la distruzione di aree di sosta e alimentazione contrasterebbe nettamente con la responsabilità di conservazione degli uccelli migratori. Lo Stretto di Messina è un’area cruciale per la migrazione afro-euroasiatica in cui transitano centinaia di specie diverse di uccelli (ad oggi censite oltre 300), con passaggi stagionali nell’ordine delle decine di migliaia di individui di rapaci (38 specie diverse) e nell’ordine dei milioni di individui per molte altre specie, sia durante il giorno che la notte.

Nel progetto, dicono gli ambientalisti, non c’è alcun rispetto dei vincoli e prescrizioni esistenti dettati dalla pianificazione territoriale locale (Guida del Piano Territoriale Paesaggistico Regionale della Sicilia, Piano d’Ambito 9 del messinese, Quadro territoriale Regionale Paesaggistico della Calabria) che, d’altra parte, non contempla la realizzazione del ponte. I quasi 1,5 milioni di metri quadri di paratia verticale costituiti dal sistema Piloni-Trave-Asse di attraversamento rompono l’unitarietà e la continuità scenografica del contesto dello Stretto con un impatto estetico-percettivo e ambientale dai profondi risvolti sociali, collettivi e individuali.

Legittimità costituzionale.  I giuristi che hanno contributo alla stesura del dossier contestano la legittimità costituzionale delle norme introdotte nella legge di Bilancio 2023 e dal DL n. 35/2023, convertito con modificazioni in legge, per la sospetta violazione degli articoli 9 (tutela del paesaggio e dell’ambiente), 32 (tutela della salute)  e 41 (iniziativa economica privata) perché la tutela del paesaggio e dell’ambiente, anche nell’interesse delle future generazioni, rientra tra i principi fondamentali e prevale nel bilanciamento dei valori, in quanto valori primari e sistemici (Corte Costituzionale n. 179 del 2019).

Aspetti finanziari.
La comunità finanziaria – spiegano gli economisti delle asociazioni – non è disponibile a sostenere il progetto con partecipazione al capitale di rischio. Ne consegue, aggiungono le associazioni – che il Piano Economico e Finanziario, assecondando le indicazioni recepite in sede di audizioni parlamentari, pone a totale carico pubblico il rischio finanziario sia dell’investimento che della gestione dell’infrastruttura. La brevità del percorso di attraversamento e delle relative opere connesse non consente di prevedere un numero di pedaggi a carico degli utenti in grado di consentire un’operazione di project financing.

L’occupazione.
I dati sull’occupazione indicati dal Governo sono sovradimensionati, affermano gli ambientalisti. Sulla base di informazioni fornite da Webuild il monte ore dei mesi lavorativi per la costruzione del ponte sarebbe di 85.131 ore, che, considerato l’impiego orario mensile di ciascun addetto a 40 ore a settimana, porta ad un’occupazione media mensile di non più di 507 addetti.
Il traffico. I flussi di traffico non ripagano l’opera, si sostiene nel dossier. Il 76,2% degli spostamenti su nave in ambito locale avviene da parte di passeggeri senza auto al seguito e complessivamente coloro che ogni giorno si muovono tra le due sponde sono 4.500 persone, un numero assai esiguo a confronto con altre direttrici nazionali. Per quanto riguarda il trasporto su ferro il canone di utilizzo della infrastruttura ferroviaria sarà determinato, secondo quanto viene detto nel decreto legge sul ponte, in misura tale da perseguire la sostenibilità ambientale dell’opera, costituendo una vera e propria tassa sul trasporto ferroviario. Mentre il traffico su gomma previsto sul ponte sarebbe di 11,6 milioni di auto, a fronte di una capacità annua della infrastruttura pari a 52,56 milioni di auto, ovvero di 105 milioni di auto considerata la bidirezionalità dei flussi, ne discende un grado di saturazione dell’11% del ponte estremamente modesto che, per gli esperti consultati dagli ambientalisti, non giustifica l’opera.


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