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Il finto scoop su Matteo Messina Denarso: 768 file rubati. Ma Corona non ci sta: “perquisito solo per il cognome”

Il re dei paparazzi parla attraverso il suo legale

“Mi sono comportato come un cittadino onesto, ma siccome mi chiamo Fabrizio Corona si sospetta che abbia fatto qualcosa di losco”. È il commento di Fabrizio Corona, riferito dal suo avvocato Ivano Chiesa, in merito alla perquisizione che ha subito la scorsa notte dai carabinieri, nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Palermo sul tentativo di vendere all’ex re dei paparazzi documenti ancora coperti da segreto investigativo sulle fasi immediatamente successive all’arresto del boss Matteo Messina Denaro. Corona risulta indagato con l’ipotesi di reato di tentata ricettazione.

“Trovo la vicenda assolutamente incredibile”, ha aggiunto l’avvocato Ivano Chiesa. “Fabrizio Corona era assolutamente d’accordo con Moreno Pisto (direttore di Mow Magazine, ndr) nel fare denuncia. E, inoltre, non ha pubblicato niente, nemmeno di essere stato contattato, che era comunque una notizia”. In merito all’accusa di tentata ricettazione il legale non si capacità: “Ma che reato è? Quando c’è di mezzo Corona sembra di stare nel film Matrix in cui diritto e realtà vengono storpiati”.

Fabrizio Corona “era particolarmente attivo” dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, a caccia di un “scoop pazzesco” da potere rivedere. Lo scrive il gip di Palermo Alfredo Montalto, che ha disposto gli arresti domiciliari del maresciallo dei carabinieri Luigi Pirollo e del consigliere comunale Giorgio Randazzo, il primo per accesso abusivo al sistema informatico e violazione del segreto d’ufficio, il secondo per ricettazione per aver tentato di vendere all’ex re dei paparazzi file riservati sulla cattura di Matteo Messina Denaro. Un movente economico certo, che non esclude quello “complottistico” su cui la procura, pur definendolo ‘ardito’, ha disposto comunque approfondimenti. Certo per il giudice, innanzitutto, è il tentativo posto in essere dal consigliere Giorgio Randazzo di vendere a Fabrizio Corona, indagato per ricettazione e di cui sono stati perquisiti immobili e abitazione, e poi, su indicazione di quest’ultimo, a Moreno Pisto (giornalista, direttore del quotidiano online “Mow”) 768 file suddivisi in 14 cartelle relativi alle indagini dei carabinieri conseguenti all’arresto di Matteo Messina Denaro effettuato lo scorso 16 gennaio.

Tale tentativo emerge da un lato, dalle intercettazioni eseguite nei confronti di Corona, “particolarmente attivo”, dopo l’arresto del latitante, “nella ricerca di scoop, da rivendere ai media, su una delle donne che aveva avuto modo di conoscere il latitante durante le cure cui entrambi si erano sottoposti presso la Clinica La Maddalena”. In una di tali intercettazioni, quella effettuata il 2 maggio, Corona, fa espresso riferimento a “uno scoop pazzesco” di cui era in possesso un “consigliere regionale di Castelvetrano” (riferendosi a Randazzo, sebbene questi, in realtà, ricopra la carica di consigliere comunale di Mazara del Vallo) grazie a non meglio specificati carabinieri che avevano proceduto alla perquisizione dei covi del latitante e che avrebbero voluto “vendersi il materiale”. Uno scoop che faceva leva su quei documenti, ma che approdava a quanto pare a conclusioni fasulle, ma ‘vendibili’: il ritardo nella perquisizione del covo di Messina Denaro che a quel punto sarebbe stato svuotato. Falso, appunto

Altre successive conversazioni di Corona, pure intercettate nei giorni successivi, confermavano per il giudice l’intenzione di Corona di acquisire e rivendere il materiale riservato che quel consigliere comunale gli avrebbe procurato. Dall’altro lato, però, vi sono le dichiarazioni rese da Pisto il 25 maggio 2023 e, soprattutto, la registrazione da questi effettuata dell’incontro avuto con Randazzo  alla presenza dello stesso Corona e la copia dei file che Randazzo intendeva vendere e di cui Pisto, con uno stratagemma, era riuscito a fare copia. Pisto, infatti, in occasione dell’incontro, aveva inserito la pendrive contenente i file di cui il Randazzo era in possesso in un computer col dichiarato fine soltanto di visionare i file e, tuttavia, aveva approfittato di ciò per copiare l’intero contenuto della pendrive senza che Randazzo se ne rendesse conto. Pisto, però, successivamente, resosi conto della riservatezza dei documenti, si era consultato con un amico giornalista, che lo aveva messo in contatto con alcuni Ufficiali di polizia giudiziaria della Squadra mobile di Palermo di sua conoscenza, e aveva poi reso le sommarie informazioni peraltro confermate, per la parte che lo riguarda, anche dallo stesso amico e collega, a sua volta sentito a sommarie informazioni il 26 maggio.

Accertati così i fatti, le verifiche effettuate sul contenuto dei file della pendrive del Randazzo (copiati nel computer da Pisto) comprovano da un lato la provenienza degli stessi dagli archivi informatici dei carabinieri della Compagnia Carabinieri e della Stazione di Campobello di Mazara, e, dall’altro, la segretzza dei documenti. La pendrive di cui Randazzo era in possesso conteneva una cartella denominata “No Name” con numerosi file all’interno e in altre dieci sottocartelle: dagli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria risulta che gli originali dei file sono custoditi nel server della Compagnia carabinieri di Mazara del Vallo, e da lì sono stati evidentemente copiati, compresi i verbali di sommarie informazioni assunte tra l’8 ed il 9 febbraio, compresi quelli relativi alle attività di perquisizione effettuata nei confronti di Andrea Bonafede già trasmessi  all’autorità giudiziaria.

Altri file erano invece costituiti dalle scansioni di alcuni documenti  sequestrati il 25 gennaio presso il covo di Campobello di Mazara, Mazara e tra questi un file pdf  denominato “agenda”, con la scansione della rubrica dei contatti di Andrea Bonafede, coperto da segreto; come i verbali delle sommarie informazioni testimoniali assunte dai residenti nelle immediate vicinanze del covo di vicolo San Vito di Campobello di Mazara e altri atti di polizia giudiziaria, non ancora stati utilizzati in alcun procedimento.

Sulla scorta degli accertamenti svolti presso gli uffici dei carabinieri e sullo stesso computer utilizzato da Pirollo, è stato, quindi, anche in questo caso accertato che i file  erano stati illecitamente acquisiti dal militare, il quale, d’altra parte, era stato uno dei soli due militari che in quel contesto, e specificatamente il 9 febbraio, avevano avuto accesso sia al server della Compagnia carabinieri di Mazara del Vallo sia al server della Stazione carabinieri di Campobello di Mazara (l’altro militare è risultato estraneo ai fatti). In tal senso depone, innanzitutto, la coincidenza tra i file già contenuti nella pendrive in possesso di Randazzo e, poi, copiati nel computer dalPisto, con quelli cui risultava avere avuto accesso il maresciallo Luigi Pirollo. Sono stati, nel contempo, accertati la conoscenza personale e i rapporti tra Randazzo e Pirollo.

E’ ritenuto certo il movente economico che ha indotto il maresciallo Pirollo, a cedere al consigliere Randazzo documenti riservati sulla cattura di Messina Denaro da vendere a Fabrizio Corona, ma questo, “non  è incompatibile – sottolinea il gip che ha disposto l’arresto del militare e del politico – con il movente in via ipotetica individuato dal pubblico ministero, di alimentare teorie ‘complottistiche’ sulla cattura del latitante Messina Denaro e ciò sia perché proprio eventuali retroscena nascosti di quella cattura rendevano più appetibili per i media quei documenti, sia perché esistevano – ed esistono tuttora – ragioni di legittimo approfondimento degli accadimenti connessi alla cattura del latitante e, soprattutto, agli sviluppi investigativi immediatamente successivi, così come, d’altra parte, segnala lo stesso pubblico ministero laddove questi riferisce che, a ‘prescindere  dalla fondatezza  di tale ardita ricostruzione’, sulla stessa ‘verranno comunque svolti gli opportuni approfondimenti'”.

Un comportamento giudicato dal gip di “particolare spregiudicatezza” quello del maresciallo Pirollo e del consigliere Randazzo. In particolare, il militare “per non essersi fatto remora di piegare la propria funzione ad interessi estranei nonostante il rischio (di cui era certamente consapevole per avere partecipato alle attività seguite all’arresto del latitante) di pregiudicare il buon esito delle investigazioni, ancora in pieno svolgimento, per la necessità di ricostruire, oltre che la rete dei favoreggiatori del latitante più diretti e immediati che sono stati sinora individuati, soprattutto i rapporti e le attività del latitante nell’ambito dell’associazione mafiosa di cui è stato a capo sino al momento del suo arresto (quanto meno quella operante nell’ambito del territorio della provincia di Trapani) e le fonti illegali di approvvigionamento delle disponibilità economiche che lo stesso latitante, in un suo interrogatorio successivo all’arresto, ha ammesso di avere seppur rifiutandosi di indicarle”.

Ebbene, per il gip, la condotta del Pirollo, “ancora più grave per il suo diretto coinvolgimento nelle indagini” e per la fiducia anche in lui riposta dai colleghi (si è visto sopra del suo inserimento nella chat di whatsapp utilizzata per ragioni di servizio), “rende evidente l’esistenza, nell’indagato,di una personalità priva di scrupoli di sorta e come tale in alcun modo tranquillizzante riguardo al concreto rischio di reiterazione delle condotte delittuose, chè, d’altra parte, è confermato anche dall’attualità delle condotte e dallo sviluppo ancora in corso delle vicende oggetto delle odierne contestazioni di reato”.

Analoghe considerazioni  per Randazzo tenuto conto anche del suo ruolo pubblico di consigliere comunale di Mazara del Vallo “e delle conseguenti responsabilità verso la comunità che rappresenta, particolarmente colpita in negativo, insieme a quella del confinante Comune di Campobello, dalle vicende della più recente latitanza del Messina Denaro (che, tra l’altro, proprio a Mazara del Vallo ebbe a ricoverarsi e ad operarsi), che, tuttavia, non gli hanno impedito di tentare, in ogni modo e ripetutamente, di monetizzare l’illecito commesso anche a rischio di gettare ulteriore discredito sulla comunità”. Anche per Randazzo, dunque, “è elevato il pericolo di commissione di ulteriori reati della stessa specie, essendo egli ancora in possesso di copia dei files illecitamente sottratti da Pirollo dal sistema informatico e dall’archivio segreto dei carabinieri (mentre, d’altra parte, non può neppure escludersi che egli sia venuto già in possesso di altri ed ulteriori files oltre quelli già mostrati a Pisto)”.


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