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Morte Messina Denaro, il degrado del cimitero…ma non per il boss

Il cimitero di Castelvetrano era rimasto blindato, ieri mattina, fino alle 10 circa, per le esequie del boss stragista

Foto Ansa.it

Non è vero che la morte livella le vite diseguali, come scriveva Antonio De Curtis in una straordinaria poesia. Non, almeno, al cimitero di Castelvetrano, dove lo spazio antistante la cappella di famiglia di Francesco e Matteo Messina Denaro risalta per pulizia rispetto a quanto è riservato ai comuni e onesti mortali qualche metro più in là: immondizia, erbacce, perfino lapidi e tombe rotte. Non è chiaro se di questa pulizia si sia occupata direttamente la famiglia di Matteo Messina Denaro o se sia stata disposta dal Comune, ma nel giorno della tumulazione dell’ultimo boss di Cosa Nostra questa differenza appare oggettivamente come un nuovo segnale di riverenza verso i più forti, sebbene defunti, a scapito dei più deboli. “Vado ogni mattina da mio figlio, morto 13 anni fa in un incidente stradale dopo aver finito in lavorare i pizzeria – racconta con dolore un anziano signore con un mazzo di fiori al cronista dell’AGI che insieme con un collega si ferma con lui a parlare – e devo attraversare questa strada in mezzo all’immondizia. La tomba la pulisco io, ma servirebbero anche gli operai del Comune e qui non si vede nessuno”.

Il cimitero di Castelvetrano era rimasto blindato, ieri mattina, fino alle 10 circa, per le esequie del boss stragista. Alla riapertura, il cammino silenzioso di chi ha perso i propri cari in un lontano passato o di recente è ripreso, lontano dalle telecamere e dagli squilli dei cellulari dei giornalisti.

Il boss è morto, ma il quadro che il cimitero propone qui è quello dipinto da Tomasi di Lampedusa: cambiare tutto affinché nulla cambi: Spostando l’occhio dalla cappella dei Messina Denaro – una porta con vetri smerigliati sotto, un angelo di marmo a grandezza naturale all’ingresso – e voltandosi indietro, si poteva vedere le persone comuni farsi tra erbacce, aggirare aree transennate, evitare bottiglie di plastica gettate ovunque. Ci sono almeno due tombe con le coperture di marmo infrante, a pezzi. Non va meglio neanche più in là, con la tomba dei Gentile, la famiglia del filosofo Giovanni (ma lui non è sepolto qui), che fu ministro dell’Istruzione del fascismo e che tra Castelvetrano, dove nacque, e Campobello di Mazara visse una parte della propria vita. Più su, davanti all’ingresso principale, c’è, invece, attorniato da fiori, Svetonio, ovvero Antonino Vaccarino, quel sindaco di Castelvetrano che, ingaggiato dai servizi, aveva intrattenuto con Matteo Messina Denaro un epistolario volto, si dice, a mettere in trappola il boss: “Verità e Giustizia valori imprescindibili della sua esistenza terrena per i quali ha immolato la propria vita”.

Ciascuno, sulla propria lapide, decide come presentarsi a coloro che restano, i vivi. Lo si concede perfino a un boss stragista, con l’angelo a grandezza naturale, il Cristo nei vetri colorati e tutto il resto. Ai comuni e onesti mortali basterebbe un cimitero decente, di uguale dignità per tutti.


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