Dopo oltre 25 anni dall’assassinio, del sindacalista Mico Geraci, avvenuto l’8 ottobre 1998, la procura di Palermo ha individuato chi avrebbe commissionato e pianificato, per conto del boss Bernardo Provenzano, l’omicidio. Si tratta di due esponenti della famiglia di Trabia, cittadina alle porte del capoluogo siciliano, già detenuti per altri reati, nei confronti dei quali è stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare.
Il sindacalista Mico Geraci fu ammazzato “per il suo impegno civico e politico” per ordine del boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano. Geraci, spiega la procura di Palermo che ha fatto luce e emesso due ordinanze di custodia cautelare per il delitto commesso 25 anni fa, si era schierato apertamente, in certi discorsi, contro la famiglia mafiosa di Caccamo, rivelandosi “particolarmente scomodo per i consolidati assetti mafiosi di quel territorio sì da suscitare l’intervento e la reazione dello stesso Bernardo Provenzano che, personalmente, ne ordinò la soppressione”.
L’omicidio, prosegue la procura guidata da Maurizio de Lucia, venne materialmente realizzato da due giovani, poi entrambi morti ammazzati, uno dei quali ucciso ad opera degli stessi odierni destinatari della suddetta ordinanza cautelare.
Geraci fu ucciso a colpi di arma da fuoco davanti alla sua abitazione di Caccamo, nel Palermitano, sotto gli occhi della moglie e del figlio Giovanni. La Direzione Distrettuale di Palermo, spiega il procuratore della Repubblica Maurizio de Lucia, è riuscita “a ricostruire minuziosamente quell’efferato delitto definito, per molto tempo, ‘senza verità e giustizia’”.
Le numerose indagini svolte, sia nell’immediatezza dei fatti, da parte della Procura di Termini Imerese sia, successivamente, in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Nino Giuffrè, da parte della Procura di Palermo non consentirono di delineare le dinamiche e il contesto dell’omicidio. In tempi più recenti, prosegue la procura di Palermo, la commissione parlamentare Antimafia della XII legislatura si è occupata del caso, dedicandovi un’apposita inchiesta dalla quale è scaturita una relazione contenente nuovi spunti di approfondimento, poi trasmessa alla magistratura. A sua volta la procura, che sottolinea il proprio impegno nella “ricostruzione dei gravi crimini rimasti impuniti”, ha acquisito attraverso ulteriori indagini “inediti elementi di prova che hanno permesso sia l’individuazione, con elevata probabilità, dei mandanti dell’omicidio e dei suoi esecutori materiali, sia di collocare l’assassinio nell’ambito delle strategie fondamentali dell’associazione Cosa nostra e, dunque, dei suoi massimi esponenti”.
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