Condanna a 9 anni e 3 mesi di carcere. È la sentenza emessa questo pomeriggio dalla gup di Palermo, Cristina Lo Bue, nei confronti di Giovanni Luppino, l’imprenditore agricolo di Campobello di Mazara che faceva da autista al boss mafioso Matteo Messina Denaro e che con lui è stato arrestato il 16 gennaio 2023 in una clinica di Palermo. L’imputato, accusato di associazione mafiosa, era presente in aula. L’accusa aveva chiesto la condanna a 14 anni e 4 mesi di carcere. Il gup ha inoltre disposto l’interdizione dei pubblici uffici e il risarcimento danni a titolo di provvisionale in favore delle parti civili comuni Campobello e Castelvetrano di 5 mila euro ciascuno. Provvisionale di 3 mila euro ciascuno per le altre parti civili costituite.
La gup ha condannato Luppino per i capi 1 e 2 (favoreggiamento aggravato e mancata inosservanza della pena) mentre ha ritenuto non sufficiente provata l’associazione mafiosa (capo 3). Giovanni Luppino – giubbotto nero e maglia di lana grigio chiaro – difeso dagli avvocati Giuseppe Ferro e Jimmy D’Azzó, ha assistito impassibile, alla sentenza pronunciata nell’aula 21 del nuovo palazzo di giustizia dalla gup Cristina Lo Bue. In aula a rappresentare l’accusa i sostituti procuratori Alfredo Gagliardi e Pierangelo Padova. Giovanni Luppino, imprenditore agricolo di Campobello di Mazara, faceva da autista al boss mafioso Matteo Messina Denaro. Oltre 50 i ‘passaggi’ che Luppino avrebbe dato a Messina Denaro e che vengono dall’accusa. Luppino è stato arrestato dal Ros dei carabinieri assieme al boss, il 16 gennaio 2023, nel corso del blitz alla clinica La Maddalena di Palermo dove Messina Denaro si era recato per sottoporsi a cure anticancro. Messina Denaro è deceduto in carcere, in conseguenza della malattia terminale, lo scorso settembre. Il processo si è svolto col rito abbreviato. Nel corso dell’ultima udienza, a febbraio, l’imputato aveva chiesto che il procedimento si svolgesse a porte aperte nonostante ciò non sia previsto. Luppino, subito dopo l’arresto, raccontò di non sapere che quell’uomo fosse Messina Denaro e che lo avrebbe conosciuto come Francesco Salsi. A presentarglielo, nel 2020, sarebbe stato Andrea Bonafede, il geometra che aveva prestato la sua identità al capomafia per consentirgli anche di curarsi, e che avrebbe agito per motivi “umanitari”. Una versione questa che sarebbe stata smentita dalla ricostruzione dell’accusa.
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