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Condannati e arrestati, colpo al clan Acquasanta

Arrestati nella notte a Milano i fratelli Gaetano e Giovanni Fontana

Arrestati nella notte a Milano i fratelli Gaetano e Giovanni Fontana, mafiosi del clan palermitano dell’Acquasanta: assolti dalle principali accuse, in abbreviato, il 21 ottobre 2022 davanti al Gup Simone Alecci, sono stati condannati ieri a tarda sera nel processo di appello, celebrato nel capoluogo siciliano, davanti alla quarta sezione della Corte, presieduta da Vittorio Anania. Per effetto della decisione, su richiesta del sostituto procuratore generale Maria Teresa Maligno, i Fontana sono stati arrestati dalla Guardia di finanza, che aveva condotto l’inchiesta coordinata, tra il 2018 e il 2020, dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Gaetano Fontana, adesso riconosciuto colpevole di avere preso le redini del potere assieme al fratello, ha avuto undici anni; Giovanni Fontana invece dieci. Il processo riguardava una lunga serie di estorsioni e il controllo dei lavori all’interno del Cantiere navale, una miniera per i boss della zona in cui sorge la struttura di Fincantieri, tra Acquasanta e Arenella. Il reinvestimento del denaro illecito riguardava l’acquisto e il controllo di gioiellerie e negozi di lusso a Milano, dove i Fontana, dopo la morte del padre, storico capomafia del quartiere, si erano trasferiti e dove stanotte sono stati catturati. Non ha giovato, a Giovanni Fontana, il tentativo di accreditarsi come collaboratore, riuscito invece al cugino, Giovanni Ferrante, che è stato determinante per le condanne decise ieri sera, in gran parte in accoglimento del ricorso della Procura, con i pm Giovanni Antoci e Maria Rosaria Perricone. Ferrante ha pure ottenuto una lieve riduzione di pena (cinque mesi in meno: ora dovrà scontarne otto) proprio grazie all’attenuante della collaborazione; riduzione anche per la compagna, Letizia Cinà, che aveva anche lei abbozzato una collaborazione, non valutata positivamente.

Per il cugino Gaetano Fontana la pena complessiva, in continuazione, quindi sommando altre condanne per fatti simili, è di 19 anni, 11 nel processo Mani in pasta, con un sensibile aumento rispetto alla prima decisione (un anno e sei mesi). A Giovanni invece il Gup aveva inflitto un anno e otto mesi e ora sono dieci anni, mentre era stata assolta la sorella, Rita Fontana, nei cui confronti non c’è stato ricorso della pubblica accusa. Trentadue gli imputati, in primo grado le condanne avevano portato a 182 anni complessivi di carcere. Un altro degli assolti era stato Giulio Biondo, adesso condannato a 8 anni e 3 mesi ed era stato assolto. Confermati poi 12 anni e 2 mesi per Santo Pace, stessa pena di Liborio Sciacca (per lui una riduzione di due mesi); 12 anni a testa per Fabrizio Basile, Michele Ferrante, Sergio Napolitano, Domenico Onorato e Domenico Passarello; Roberto Gulotta 10; 9 anni per Francesco Pio Ferrante; Salvatore Giglio 8 anni e 2 mesi; 4 anni, 10 mesi e 20 giorni per Fabio Chiarello e Salvatore Ciampallari; a Giuseppe Gambino, Roberto Giuffrida e Nunzio Gambino sono toccati 6 anni e 8 mesi ciascuno; otto mesi a Salvatore Ciancio; 8 anni e 2 mesi per Giampiero D’Astolfi e 5 anni e 8 mesi per Giovanni Di Vincenzo; Ivan Gulotta 5 anni; 3 per Pietro Abbagnato, lieve aumento per Cristian Ammirata e Antonino Di Vincenzo (1 anno e 10 mesi contro 1 anno, 6 mesi e 20 giorni); Giovanni Mamone e Michela Radogna 1 anno e 4 mesi; Gaetano Pilo, che era stato assolto, ha avuto 10 mesi e 20 giorni. Infine solo una multa, anch’essa confermata (mille euro) per Francesco Ferrante e Giovanni Giannusa. Nel processo erano parte civile il Comune di Palermo (avvocato Ettore Barcellona), Solidaria (avvocato Maria Luisa Martorana), Fai (avvocato Valerio D’Antoni), associazione Antonino Caponnetto (avvocato Alfredo Galasso) Confcommercio Palermo e Confesercenti (avvocato Fabio Lanfranca), Centro Pio La Torre (avvocato Francesco Cutraro), Sos Impresa (avvocato Fausto Maria Amato) e Sicindustria.


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