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Omicidio per errore ad Agrigento, a giudizio il fratello della vittima

Secondo il pubblico ministero Gaspare Bentivegna e il gip Giuseppe Miceli, che ha firmato l'ordinanza cautelare, si sarebbe trattato di "omicidio per errore"

L’inchiesta per la morte del 37enne Roberto Di Falco, rimasto ucciso il 28 febbraio dell’anno scorso in una sparatoria avvenuta nel piazzale di una concessionaria al Villaggio Mosè, ad Agrigento, approda in aula per il processo. A decidere il rinvio a giudizio, per l’accusa di “omicidio per errore”, nei confronti del fratello della vittima, Angelo Di Falco, 40 anni, è stato il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Agrigento, Giuseppa Zampino. Gli altri due imputati – Calogero Zarbo, 41 anni e Domenico Avanzato, 37 anni, anche loro di Palma – saranno, invece, giudicati con il rito abbreviato. I legali di Di Falco, in prima battuta, avevano chiesto il giudizio abbreviato condizionato alla testimonianza dei tre “rivali” del gruppo dei palmesi ma il gup non ha ammesso il rito speciale. La ricostruzione dell’episodio è particolarmente complessa ma procura, gip, tribunale del riesame e Cassazione sono d’accordo su un punto centrale: il 38enne palmese Roberto Di Falco è stato ucciso dopo che il commerciante di auto, che lo avrebbe truffato facendo degli acquisti con degli assegni scoperti, aveva reagito a un brutale pestaggio da parte dello stesso Di Falco, del fratello e di due amici che sarebbero partiti da Palma col proposito di pestarlo e, parrebbe, ucciderlo a colpi di pistola. Il concessionario di auto, vittima del pestaggio, quando avrebbe visto spuntare la pistola, con una mossa fulminea l’avrebbe spostata deviando il colpe sull’addome di Roberto Di Falco. Il fatto è avvenuto nel piazzale del negozio mentre il titolare, secondo la ricostruzione dei fatti, si trovava all’interno di un’auto.

Secondo il pubblico ministero Gaspare Bentivegna e il gip Giuseppe Miceli, che ha firmato l’ordinanza cautelare, si sarebbe trattato di “omicidio per errore”. Ricostruzione storica avallata dal tribunale del riesame che, però, la riqualifica diversamente sul piano giuridico: la spedizione punitiva finita male, in sostanza, si sarebbe conclusa con un omicidio da parte del commerciante che, però, non sarebbe punibile in quanto avrebbe agito per legittima difesa. Il tribunale della libertà ha ratificato la sua decisione per due volte dopo che la Cassazione aveva disposto un nuovo giudizio. Il punto centrale della vicenda è questo. I giudici, tuttavia, fin da subito hanno confermato la custodia cautelare in carcere per tutti per l’accusa di tentato omicidio ai danni del figlio del titolare della concessionaria, al quale Angelo Di Falco avrebbe provato a sparare dopo che il fratello era caduto per terra in seguito al colpo ricevuto, e per quella di detenzione illegale di arma. La vittima designata, in questo caso, si sarebbe salvata per l’inceppamento dell’arma. Zarbo, nei mesi scorsi, ha fatto ritrovare l’arma e l’atteggiamento collaborativo gli è servito per ottenere gli arresti domiciliari. La difesa ha sempre sostenuto che i quattro palmesi siano andati nella concessionaria per picchiare il titolare – le immagini della video sorveglianza lo mostrano con chiarezza – e che lo stesso abbia tirato fuori la pistola e abbia fatto fuoco, uccidendo Roberto Di Falco. I legali di Angelo Di Falco volevano sentire in aula il titolare della concessionaria e i due figli che in quel momento erano presenti. La richiesta sarà riproposta all’apertura del dibattimento, davanti alla prima sezione della Corte di assise, fissata per il 6 giugno. La requisitoria del processo a Zarbo e Avanzato, è in programma il 16 maggio.


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