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Peculato e falso, assoluzione per l’ex medico di Crocetta

I giudici hanno anche cancellato le statuizioni civili

Stangata in primo grado, assoluzione perché il fatto non sussiste in appello: l’ex manager dell’azienda ospedaliera Villa Sofia di Palermo, Giacomo Sampieri, e Matteo Tutino, l’ex medico personale dell’ex presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta, sono stati assolti nel processo per il presunto peculato sugli interventi di chirurgia estetica. La sentenza è della prima sezione della Corte d’appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, che ha accolto le tesi degli avvocati Massimo Motisi e Cinzia Calafiore, che assistevano il medico, e Vincenzo Lo Re, difensore di Sampieri.

I giudici hanno anche cancellato le statuizioni civili: i due imputati, che in tribunale,il 15 maggio 2023 erano stati condannati anche a risarcire la Regione, l’azienda sanitaria ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello e l’Ordine dei medici di Palermo, costituiti parte civile, non dovranno risarcire nessuno. Le accuse contestate erano di peculato e falso, perché la chirurgia estetica avrebbe goduto di un canale privilegiato, dato che gli interventi eseguiti da Tutino fra le mura dell’ospedale pubblico sarebbero stati fatti passare come di chirurgia plastica e come necessari per tutelare la salute dei pazienti e risolvere problemi medici importanti. Da qui i presunti falsi nelle cartelle cliniche di sette pazienti, che avevano bisogno non di chirurgia plastica ma di ritocchi estetici.

Tutino, in primo grado difeso dall’avvocato Carlo Taormina, era stato riconosciuto colpevole di quasi tutti i reati contestati, mentre Giacomo Sampieri rispondeva di concorso in peculato per omesso controllo. Per lui in tribunale gli stessi pm Giacomo Brandini e Andrea Zoppi avevano chiesto l’assoluzione e sempre in tribunale era stata dichiarata la prescrizione dal reato di peculato d’uso per Damiano Mazzarese, dirigente del dipartimento di Anestesia e rianimazione dell’azienda ospedaliera e perché il fatto non costituisce reato per il falso e il peculato. Prescrizione già due anni fa pure per Giuseppe Scaletta, ispettore della Digos e per la moglie Myrta Baiamonte, genetista. Mazzarese e gli altri due non erano più nel processo di secondo grado, perché contro di loro non c’era stato ricorso dei pm né da parte degli stessi imputati.

Il processo per peculato celebrato a Palermo contro Matteo Tutino era divenuto noto al grosso pubblico per via di un elemento extraprocessuale, dichiarato poi inesistente: una telefonata fra il medico personale e il suo assistito più famoso, Rosario Crocetta. Un’intercettazione – il cui contenuto era esistito però solo sul settimanale L’Espresso, in quanto non si trovava agli atti – in cui Tutino, con severità e determinazione, aveva detto a Crocetta che Lucia Borsellino, all’epoca (2013) assessore regionale alla Sanità, doveva essere fermata o “fatta fuori, come il padre”. Pessima espressione, nei riguardi della figlia di un magistrato ucciso dai boss e, di fronte a queste parole, Crocetta sarebbe rimasto in silenzio.

La vicenda aveva suscitato un enorme clamore e il processo Tutino entrò nell’immaginario collettivo proprio per quel presunto silenzio di Crocetta, che aveva fatto dell’antimafia un vessillo ma che non sarebbe insorto di fronte a un riferimento vergognoso alla Borsellino e al padre Paolo. Sebbene cercata e ricercata, però, l’intercettazione non venne mai fuori: nell’immediato, dopo la pubblicazione da parte del giornale nella versione online, a luglio 2015, c’erano state reazioni indignate dai palazzi più importanti della politica, sia il Quirinale che Chigi, abitato allora da Matteo Renzi. Il procuratore di Palermo dell’epoca, Francesco Lo Voi, disse subito che non esisteva quella conversazione e mai spuntò. Crocetta in lacrime confessò in diretta tv di avere cercato su internet il modo più indolore per togliersi la vita. A distanza di dieci anni di quello scoop non esiste più niente: anche i giornalisti Piero Messina e Maurizio Zoppi, processati e condannati in primo grado per calunnia, sono stati assolti in appello. Se la notizia non c’era, non c’era nemmeno la condanna.


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