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Al Piccolo Teatro della Città debutta “Jeli il pastore”

Il fieno dei campi disteso all’infinito, la stoppa filata da Mara, il lino che la donna vorrebbe seminare per desiderio

Il fieno dei campi disteso all’infinito, la stoppa filata da Mara, il lino che la donna vorrebbe seminare per desiderio. Sono le fibre con le quali l’arte di Giovanni Verga veste il proprio narrare nella novella Jeli il pastore. Un narrare ripreso nella trasposizione scenica curata dalla scrittrice Lina Maria Ugolini e diretta dal maestro Gianni Salvo che va in scena al Piccolo Teatro della Città venerdì 10 marzo ore 21, sabato 11 (ore 21) e domenica 12 marzo (ore 17.30). Lo spettacolo, prodotto dal Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale, vanta le musiche del maestro Pietro Cavalieri e vede in scena Giovanni Arezzo, Lorenza Denaro, Luca Fiorino, Giovanna Mangiù, Anna Passanisi, Maria Chiara Pellitteri, Lucia Portale Vincenzo Ricca, Maria Rita Sgarlato, Aldo Toscano.

La PRIMA della pièce Jeli il pastore sarà anticipata (venerdì alle ore 18.30) dall’appuntamento di RetroScena (il ciclo di approfondimenti e incontri sugli spettacoli della stagione del Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale): durante l’incontro nel foyer del Piccolo Teatro della Città, Rosario Castelli, professore dell’Università di Catania, dialogherà con il regista, la drammaturga e la compagnia dello spettacolo.

Un’occasione per parlare di questa trasposizione scenica che cerca soprattutto di cogliere, dalla parola intatta dello scrittore, la poesia necessaria alla musica, essendo la musica da sempre il linguaggio degli affetti ovvero dei motivi legati agli slanci delle emozioni, slanci necessari all’azione teatrale per nutrire il proprio gesto di valore dinamico e assoluto. “La nostra sarà– spiegano autrice e regista – un’operazione rigorosa e profonda ma anche consapevole di stabilire un valore legato alle origini dell’arte drammatica vicina alle radici dell’uomo”.

Due le suggestioni accolte – spiega Lina Maria Ugolini –: quella del teatro greco, il teatro dell’epica corale e insieme con questo il teatro visionario della terra e del sangue di Federico García Lorca. Un coro di quattro donne, guidate da una “corifea”, racconterà la storia di Jeli. Quattro come le stagioni che segnano la vita della campagna. Alla quinta donna, la gnà Lia, il canto della saggezza contadina. Abbiamo voluto inserire tra le righe della scrittura dei campi la presenza di un siciliano intimo e selvatico, il controcanto di un bisbiglio dato ai personaggi della novella attraverso il fiato di un pensiero inespresso eppure complice”.

Jeli  – sottolinea Gianni Salvo – fa parte di quella ricca, complessa e martoriata categoria dei vinti. Abbiamo utilizzato, grazie alla collaborazione di Ugolini, una sorta di operazione che lei ha voluto chiamare trasposizione. Una parola che esalta il ruolo dell’uomo. Mi sembra sia importante assistere a queste storie per recuperare un senso amaro e poetico di personaggi che si misurano prima di tutto con la natura e poi con il senso del destino, del fato. C’è in questo testo una presenza del teatro greco non dichiarata ma sotterranea. Verga è, infatti, per me Eschilo ed è Sofocle perché c’è dentro questo rapporto sociale. Verga non è pittore di un paesaggio oleografico, fatto di ponticelli e fienili, ma è un pittore che scrive con il coltello, come anni dopo scriverà lo stesso Brecht”.


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