“In una lista del Pd c’è il figlio di un boss che sta in carcere. Io sono un garantista. Naturalmente, non ha nessuna colpa, ma se si vuole parlare di relazioni, allora, parliamo anche di questo”. Lo ha detto il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani, rispondendo a una domanda, ad Agorà, sul caso dell’arresto di un candidato di FI a consigliere comunale, a Palermo.
“Purtroppo – spiega Tajani – sono cose che capitano: quando si accettano le candidature e si presentano i certificati, i partiti non sanno se un candidato potrà poi commettere qualche reato durante la campagna elettorale. Su quanto accaduto a Palermo – entra nel merito Tajani – Forza Italia è parte lesa. Perché Polizzi, che peraltro non conosco, è un candidato tra i tanti, che ha avuto contatti durante la campagna elettorale con quelle persone con cui invece noi non abbiamo nulla a che fare”.
Un candidato della lista Progetto Palermo, collegata al candidato sindaco del centrosinistra Franco Miceli, è figlio di un presunto mafioso, in cella da due anni nell’ambito dell’operazione Resilienza. Il padre di Nicola Piraino, militare di carriera nell’Esercito, 44 anni, è Biagio Piraino, meccanico ritenuto molto vicino al boss Giovanni Nicoletti, morto nel 2019. Biagio Piraino è in cella, ma questa situazione non ha impedito a Nicola di candidarsi al Consiglio della VI Circoscrizione. Lui racconta di avere parlato con gli avvocati, che gli avrebbero detto che non c’erano ostacoli alla sua candidatura. Col padre inoltre non avrebbe rapporti di particolare intensità, dato che per un ventennio ha lavorato fuori Palermo: “Ci vedevamo ogni tanto, non potevo sospettare di nulla”.
“La sinistra ha candidato il figlio di un boss. Chi per settimane mi ha definito strumentalmente e velenosamente un pupo ospita nelle proprie liste il figlio di un mammasantissima, in carcere da anni per reati di mafia. La questione morale declinata a questione di opportunità. Per alcuni la clava, per il diretto discendente di un mafioso ospitato nelle patrie galere il tappeto rosso. La miopia della verifica”. Così il candidato sindaco di Palermo del centrodestra Roberto Lagalla, che aggiunge: “Si imputa agli avversari politici un deficit di controllo – per altro nel caso di chi è stato candidato 5 anni fa con Orlando impossibile da operare, se non da parte della sola magistratura – e poi si accetta la candidatura del figlio di un boss mafioso. Conosciuto da tutti, perché troppo chiacchierato. Insomma, il doppiopesismo, l’uso strumentale della morale definiscono una certa proposta politica, che adesso è chiamata a spiegare certe affermazioni e scelte”.
“Nella lista Progetto Palermo della sesta circoscrizione è candidato il caporal maggiore capo Nicola Piranio, militare dalla carriera limpida costellata da encomi, che ha rinnegato suo padre, scelta per la quale ci vuole anche un certo coraggio e che merita la stima di tutti noi, come altri hanno dovuto fare nella storia della nostra Sicilia. Comportamento ben diverso da chi apre le porte ai condannati come Dell’Utri e Cuffaro, o da chi mercanteggia voti con i boss di Cosa Nostra. La candidatura di chi, in Forza Italia e in appoggio di Lagalla, oggi cerca i voti di Cosa nostra mettendosi a disposizione dei boss è cosa ben diversa”. Lo dice il candidato sindaco Franco Miceli, per il quale “la verità è che la destra pur di tentare di raccattare voti non guarda in faccia nessuno e che della lotta alla mafia non gli importa assolutamente nulla. È indegno tentare di mettere le due cose sullo stesso piano. Comportamento proprio di chi, con la coscienza sporca e disperato per il crollo di consenso, cerca di confondere gli elettori, che fessi non sono”.
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