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Arresto Messina Denaro, cade l’ultimo dei “corleonesi” però “mai ritenuto un capo dei capi”

Anche l'ultima relazione della Direzione investigativa antimafia fotografa, soprattutto nella parte occidentale dell'Isola, una realtà strutturata in mandamenti e famiglie e improntata secondo schemi meno rigidi rispetto al passato per quanto riguarda la ripartizione delle competenze territoriali.

Con l’ultimo dei ‘corleonesi’ di peso arrestati, Cosa nostra perde un altro dei suoi simboli. Mai ritenuto un capo dei capi, la cattura di Matteo Messina Denaro, arrestato oggi dopo 30 anni di latitanza, rappresenta un ulteriore colpo al mito peraltro già appannato dell’invincibilità della mafia. Nessuna figura di sintesi in Sicilia. Anche l’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia fotografa, soprattutto nella parte occidentale dell’Isola, una realtà strutturata in mandamenti e famiglie e improntata secondo schemi meno rigidi rispetto al passato per quanto riguarda la ripartizione delle competenze territoriali. Trapani era il regno del boss di Castelvetrano, figura di riferimento per tutte le questioni di maggiore interesse, per la risoluzione di eventuali controversie e per la nomina dei vertici delle articolazioni della provincia. Cosa nostra, viene detto, “si conferma organizzazione tendenzialmente unitaria sempre più tesa alla ricerca di una maggiore interazione tra le varie articolazioni mandamentali in mancanza di una struttura di raccordo di comando al vertice”.

In tale ottica e “considerata la costante inoperatività della commissione provinciale di Palermo”, la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative “risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà”. A tali personaggi mafiosi “si affiancano giovani criminali che forti di un cognome o parentela di spessore vanno a ritagliarsi nuovi spazi territoriali e criminali in funzione di supplenza dei boss detenuti. Tale situazione potrebbe generare incomprensioni tra la vecchia e la nuova generazione”.

Nella Sicilia orientale ed in particolare nella città di Catania cosa nostra “è rappresentata dalle storiche famiglie alle quali si affiancano altri sodalizi che, seppur fortemente organizzati e per quanto regolati secondo gli schemi tipici delle consorterie mafiose, evidenziano maggiore fluidità sul piano strutturale non configurandosi organicamente in cosa nostra. Le numerose attività repressive condotte nell’arco degli anni hanno determinato l’arresto dei vertici e creato dei vuoti nelle posizioni di comando”.

Storica è la vocazione di cosa nostra catanese di penetrare e di confondersi nel tessuto economico legale del capoluogo, in quello imprenditoriale e nelle dinamiche della gestione locale della cosa pubblica. Nel tempo anche le altre organizzazioni di tipo mafioso hanno perseguito la medesima strategia abbandonando il più possibile l’idea di affermarsi sul territorio mediante azioni eclatanti e destabilizzanti per la sicurezza pubblica.


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