fbpx

In tendenza

Cassazione, prevale il diritto di critica: anche se aspra non è diffamazione

Nove anni per chiudere una vicenda giudiziaria che vide coinvolti un candidato al consiglio comunale di Ragusa e la sorella come imputati, e un presidente di seggio che denunciò i due per diffamazione

Prevale il diritto di critica anche se aspra. Nove anni per chiudere una vicenda giudiziaria che vide coinvolti un candidato al consiglio comunale di Ragusa e la sorella come imputati, e un presidente di seggio che denunciò i due, costituendosi parte civile, per diffamazione aggravata in concorso in relazione ad alcune frasi che Nanni Frasca, avvocato e candidato al consiglio comunale, e la sorella Chiara, ingegnere, scrissero su Facebook e sul sito internet del candidato. Frasi rivolte al presidente del seggio, Michele Savarese, anch’egli avvocato. Come si legge nella sentenza di Cassazione, nel punto in cui riassume la vicenda, l’origine delle aspre critiche parte dal fatto che “nello svolgimento dei controlli da parte del comitato elettorale centrale, dopo lo spoglio, ci si accorgeva di alcune discrepanze, dovute ad un errore nella copiatura dei registri elettorali” – nei dati comunicati dal seggio presieduto da Savarese – tra i voti di lista e i voti dei singoli candidati. La decisione sull’assegnazione dei voti venne congelata e il presidente di seggio convocato per chiarimenti. Il mancato riconoscimento di questi voti avrebbe potuto danneggiare Nanni Frasca. Con queste premesse, e come si evince dalle sentenze, iniziò lo scambio di commenti tra i fratelli. I procedimenti hanno seguito due strade diverse: quello di Nanni Frasca si è concluso ed è diventato definitivo con sentenza di assoluzione in appello che confermava analogo esito di primo grado; quello di Chiara Frasca si è concluso con tre assoluzioni in primo grado, appello e Cassazione. Come sostenuto dai legali dei Frasca – gli avvocati Luigi Stamilla ed Emilio Cintolo – le critiche (anche se alcune espressioni “possono risultare certamente sgradevoli” dicono i giudici della Suprema Corte, “colorite e sopra le righe”) non erano rivolte a Savarese in quanto persona o professionista (avvocato) ma al ruolo di presidente di seggio per le discrepanze emerse nei conteggi.

La Cassazione inoltre cita due sentenze che tengono in considerazione, nella durezza della critica, l’interesse generale e il rilievo della posizione pubblica del destinatario. L’allora presidente di seggio, assistito dagli avvocati Carlo Failla e Andrea Palmiero, non ha dunque visto accolta la tesi che quelle critiche fossero rivolte alla sua persona.


© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo


© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni