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Coldiretti su migranti: “senza di loro addio al 30% del Made in Italy”

La comunità di lavoratori agricoli più presente in Italia – spiega Coldiretti – è quella rumena con 78.214 occupati

Senza il contributo dei migranti nei campi e nelle stalle, l’Italia perderebbe quasi un terzi del Made in Italy a tavola, con 362 mila lavoratori provenienti da tutto il mondo che hanno trovato regolarmente occupazione in agricoltura fornendo ben il 32% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore nel 2022. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti che ha collaborato al Dossier statistico immigrazione a cura del Centro studi e ricerche Idos, in occasione della Giornata del migrante.

La comunità di lavoratori agricoli più presente in Italia – spiega Coldiretti – è quella rumena con 78.214 occupati, davanti a indiani con 39.021, marocchini con 38.051 che precedono albanesi (35.474), senegalesi (16.229), pakistani (15.095), tunisini (14.071), nigeriani (11.894,) macedoni (9.362), bulgari (7.912) e polacchi (7.449).

Si tratta soprattutto di lavoro stagionale con picchi di domanda nei periodi estivi della raccolta che sono garantiti grazie a lavoratori regolari provenienti da altri Paesi perfettamente integrati che si fermano in Italia per qualche mese, tornando anno dopo anno con reciproca soddisfazione.

“Sono molti “distretti agricoli” dove i lavoratori stranieri sono una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso – aggiunge la Coldiretti – della raccolta delle fragole nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva in Piemonte fino agli allevamenti da latte in Lombardia dove a svolgere l’attività di bergamini sono soprattutto gli indiani. Nelle campagne servono – sottolinea la Coldiretti – non solo addetti alla raccolta per le verdure, la frutta e la vendemmia ma anche figure specializzate come i trattoristi, i serricoltori, i potatori. Non vanno dimenticati poi – continua Coldiretti – i nuovi sbocchi occupazionali offerti dalla multifunzionalità che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche agli agriasilo, ma anche alle attività ricreative, l’agricoltura sociale per l’inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti, la sistemazione di parchi, giardini, strade, l’agribenessere e la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili”.

“E’ importante affrontare il tema della disponibilità di manodopera con una gestione dei flussi più efficiente partendo dal decreto triennale che abbiamo fortemente sostenuto e che può dare una grande mano tenuto conto che non solo si passa dalle 42 mila unità di lavoro stagionale alle 82 mila del 2023 fino alle 90mila del 2025 ma soprattutto che – afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – le quote riservate alle associazioni agricole per i loro soci, che dalle 22.000 unità dell’anno scorso raggiungono le 40.000 quest’anno, assicurando alle nostre imprese la certezza di poter avere a disposizione lavoratori regolari e non subire la concorrenza sleale di chi sfrutta le persone”.

Il decreto del presidente del Consiglio dei Ministri recante la “Programmazione dei flussi d’ingresso legale in Italia dei lavori stranieri per il triennio 2023-2025” potrà essere integrato per singolo anno sulla scorta delle sopravvenute necessità come avvenuto nel 2023 e – conclude la Coldiretti – fermo restando il mantenimento delle quote annuali per lavoro stagionale agricolo, sono previsti ingressi anche, come più volte sollecitato dalla Coldiretti, per quote destinate al soddisfacimento del fabbisogno per il settore della pesca.”


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