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Francesco Boscarino, da 12 anni in cassa integrazione: “orgoglioso di lavorare in Fiat, poi la catastrofe”

Il 31 dicembre 2011 i lavoratori lo ricordano bene: l'azienda ha smesso definitivamente di produrre veicoli. Da quel giorno gli operai sono entrati in un tunnel senza via d'uscita

Francesco Boscarino

“È stata una catastrofe, specialmente per chi ha sempre creduto nell’azienda. Da quando abbiamo varcato per l’ultima volta i cancelli, però, ci siamo sentiti presi in giro. Ancora oggi siamo convinti che la chiusura di Termini Imerese sia stata una scelta politica”. Queste le parole di Francesco Boscarino, operaio ex Fiat e Blutec dello stabilimento siciliano, e papà di Martina, Claudia e Federica. Era il 6 giugno 1988 quando ha iniziato il suo primo giorno di lavoro con l’azienda torinese. Non era nemmeno sposato. “Quando sono entrato in cassa integrazione – racconta – la più grande delle mie figlie aveva 12 anni, oggi ne ha 24. È brutto e difficile “vivere” di ammortizzatori sociali. Con mille euro, tra le tante cose, devi fare la spesa, pagare bollette e studi universitari alle figlie. Se non fossi aiutato dai parenti andrei in tilt”. Nel 1967 prese vita la Sicilfiat, voluta fortemente da Mimì La Cavera, primo presidente di Sicindustria e amico di Vittorio Valletta, ex amministratore delegato Fiat. Tre anni dopo si misero in moto le linee di produzione delle macchine industriali. Sono trascorsi 43 anni, il grande sogno dell’imprenditore siciliano si è trasformato in una cattedrale nel deserto. Questo è il triste destino del polo termitano, uno dei protagonisti della storia dell’automobile del nostro Paese”.

TENTATIVI DI RILANCIO. Il 31 dicembre 2011 i lavoratori lo ricordano bene: l’azienda ha smesso definitivamente di produrre veicoli. Da quel giorno gli operai sono entrati in un tunnel senza via d’uscita. Lo stabilimento doveva essere rilanciato da alcuni imprenditori, tra questi: i Fratelli Ciccolella, De Tommaso Automobili, Cape Rev e molti altri. Tante le aspettative altrettanti i fallimenti.

DR. Poi è arrivato il momento dell’imprenditore molisano Massimo Di Risio, patron della DR Motors. “Quando Fiat se n’è andata c’era già l’accordo – ricorda Boscarino che continua ancora oggi ad aggrapparsi alla cassa integrazione per riuscire a vivere – In quei giorni ho spiegato ai miei figli che se ne andava una grande azienda e ne arrivava una più piccola. Purtroppo non è andata come doveva andare”. L’intesa, firmata l’1 dicembre 2011, prevedeva la fase di start-up nel primo quadriennio, su quattro modelli di autovetture per ognuno dei segmenti di mercato: A, B, C, e I (Suv). L’azienda già disponeva dei relativi prototipi e delle specifiche di industrializzazione che sarebbero state conferite alla nuova realtà industriale (DR Industrial spa). Da diecimila veicoli prodotti nel 2013 si sarebbe arrivati a sessantamila nel 2016. Ma l’accordo saltò.

CRAC BLUTEC. Nel 2014 arriva la Grifa e anche questa volta il progetto non decolla. Le montagne russe non finiscono qui. A dicembre dello stesso anno il patron della Blutec, Roberto Ginatta, ha rilevato lo stabilimento termitano. Ma già dopo pochi mesi il progetto si rivelò per quello che era: un castello di carta. Nei mesi scorsi Ginatta è stato condannato in primo grado a 7 anni di carcere. Secondo il tribunale di Torino l’imprenditore avrebbe incassato dallo Stato 15 milioni di euro (parte di un anticipo dei 21 milioni per il rilancio del sito termitano) dirottandoli su altre attività. Ma le accuse riguardano anche riciclaggio e bancarotta fraudolenta.

VITA DA CASSINTEGRATO. Francesco era un manutentore elettrico specializzato sia in Fiat che in Blutec. Da una giornata lavorativa di otto ore, quella della nuova vita da cassa integrato si alterna tra il divano di casa, qualche chiacchierata con amici e colleghi in piazza e la campagna. Con uno stipendio dimezzato (da circa 2.100 euro mensili ai 1.100 di oggi). “Bisogna trovare una soluzione per creare lavoro. Mi rendo conto che non si può andare avanti così. Se ci tolgono la cassa integrazione ci mettono alla fame più estrema. A nessuno di noi piacciono gli ammortizzatori sociali e l’abbiamo dimostrato in tutti questi anni”. Francesco non può nemmeno comprare il computer alla figlia che frequenta l’università perché cassa integrato: “Non mi hanno accettato il finanziamento. Non ti dico come mi sento ancora oggi“, racconta il lavoratore che nei momenti di sconforto trova sostegno grazie anche alla moglie: “In questi anni è stata il perno centrale”. A chi gli chiede cosa ne pensa del crac Blutec, risponde: “Secondo me Fiat è il colpevole principale e ha pilotato le scelte di Ginatta. Se non avesse assunto noi l’azienda torinese non avrebbe potuto assumere mille lavoratori a Melfi. Sarebbe stato un grave danno di immagine. Ginatta chi l’ha portato? I vertici Fiat”.

Da giugno 2016 a maggio 2019 Francesco ha alternato sei ore lavorative in Blutec e due di cassa integrazione. Poi il sequestro da parte delle fiamme gialle: “Ricordo ancora quando sono entrati gli agenti: oggi non finiremo nemmeno la giornata di lavoro, ho subito detto a un mio collega”. Francesco in questi anni ha avuto accanto una famiglia che lo ha sostenuto e confortato: “I miei figli cercavano di consolarmi. Mi dicevano sempre: finché c’è vita c’è speranza. Mi incoraggiano ogni giorno”. Grazie anche ai nonni Francesco è riuscito a pagare gli studi universitari alle tre figlie: la maggiore è laureata in scienze motorie, le altre due sono iscritte al corso di laurea di Economia aziendale all’Università di Palermo. “Molte persone che conosco hanno avuto seri problemi di depressione. Anche a casa mia abbiamo avuto difficoltà”.


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