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Frode su Iva per 520 milioni di euro: 43 arresti

A capo del gruppo viene contestata anche l’aggravante di aver agevolato, investendone i profitti nel settore delle frodi all’IVA, consorterie criminali camorristiche e mafiose e di essersi avvalsi del metodo mafioso

Su richiesta degli uffici di Milano e Palermo della Procura Europea, il gip di Milano ha emesso 47 misure cautelari (34 custodie in carcere 9 agli arresti domiciliari e 4 misure interdittive)  nei confronti di altrettanti indagati ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata all’evasione dell’Iva intracomunitaria nel commercio di prodotti informatici e al riciclaggio dei relativi profitti. È stato anche disposto nei confronti delle persone e delle società indagate il sequestro preventivo, anche per equivalente, di beni, valori e denaro per oltre 520 milioni di euro, individuato quale profitto complessivo della frode, pari all’Iva evasa.

A capo del gruppo – come ricostruito dalle indagini della Guardia di Finanza di Varese, Milano e Palermo, viene contestata anche l’aggravante di aver agevolato, investendone i profitti nel settore delle frodi all’IVA, consorterie criminali camorristiche e mafiose e di essersi avvalsi del metodo mafioso, soprattutto in chiave di composizione di conflitti nati all’interno del sodalizio multilivello tra esponenti delle diverse organizzazioni criminali.

Sono state ricostruite false fatturazioni per 1,3 miliardi di euro, nel corso dell’inchiesta che tra Milano e Palermo ha fatto emergere un sistema criminale cresciuto con le ‘frodi carosello’ con un ruolo importante di mafia e camorra. Tra i destinatari delle 43 misure di custodia in carcere (4 sono invece le misure interdittive) dell’operazione ‘Moby Dick’ figurano anche 7 indagati, per i quali è stato emesso il mandato di arresto europeo, quattro dei quali sono stati localizzati in Repubblica Ceca, Olanda, Spagna e Bulgaria. Il sequestro preventivo di beni, valori e denaro per oltre 520 milioni di euro, individuato quale profitto complessivo della frode pari all’Iva evasa, ha una natura preventiva, e così anche quello per riciclaggio di alcuni complessi residenziali e immobiliari del valore complessivo di oltre 10 mln di euro siti a Cefalù (Pa), nonché di altri compendi immobiliari riconducibili ad alcune delle società, ricadenti nei territori di Chiavari (Ge), Bellano (Lc), Noli (Sv), Cinisello Balsamo (Mi) e Milano e ancora Cefalù (Pa). Il denaro avrebbe alimentato, spiegano gli investigatori, clan di mafia e camorra “soprattutto in chiave di composizione di conflitti nati all’interno del sodalizio multilivello tra esponenti delle diverse organizzazioni criminali”.

Sono attualmente in corso oltre 160 perquisizioni in 30 diverse province presso abitazioni, uffici e aziende riconducibili agli indagati: i cash dogs della Gdf stanno cercando banconote nascoste. Sono in tutto 200 le persone fisiche indagate e oltre 400 le società coinvolte, a molte delle quali cui viene contestato l’illecito amministrativo dipendente da tali reati. Perquisizioni e sequestri sono in corso nei Paesi Ue interessati dalla frode e, in particolare, in Spagna, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Croazia, Bulgaria, Cipro, Olanda, e in paesi extra UE, come la Svizzera e gli Emirati Arabi.

L’indagine ha riguardato una strutturata frode carosello all’Iva intracomunitaria nel settore del commercio dei prodotti elettronici/informatici: diversi esponenti mafiosi e camorristi ne sono entrati a far parte, portando in dote somme consistenti di denaro sporco, che così veniva riciclato. Le frodi carosello vengono realizzate sfruttando il regime di non imponibilità ai fini Iva previsto per le operazioni commerciali intracomunitarie: ci si serve di una società “cartiera” (o società fantasma o missing trader) che acquista la merce dal fornitore comunitario senza l’applicazione dell’Iva per poi rivenderla a un’impresa nazionale (anch’essa coinvolta nella frode) con l’applicazione dell’Iva ordinaria italiana: la società “cartiera”, invece di vendere la merce maggiorata del proprio utile e versare l’Iva incassata dalla sua cessione, la vende sottocosto senza versare all’erario l’imposta indicata sulla relativa fattura emessa.
La missing trader, infatti, sprovvista di strutture operative e di dipendenti, di norma gestita da prestanome, senza adempiere ad alcun obbligo fiscale, oltre quello di emettere fatture soggettivamente false, dopo una breve vita, massimo 2 anni, viene fatta cessare e sostituita da altra impresa dalle analoghe caratteristiche. Sul mercato nazionale arrivano in questo modo beni a prezzi molto concorrenziali: il sistema criminale prevede, di norma, ulteriori passaggi in cui la merce viene venduta, sempre sottocosto, a favore di altre imprese italiane (filtro o buffer), inserite nel circuito con l’esclusiva finalità di rendere più difficile l’identificazione dello schema e dei suoi beneficiari finali, rappresentati dalle società ‘broker’, ovvero le imprese effettivamente operative che, acquistando il prodotto dalla buffer con applicazione dell’Iva, vantano nei confronti dell’erario il credito Iva corrispondente. L’effetto finale è quello di rivendere la merce sul mercato interno, approfittando del prezzo d’acquisto artificiosamente concorrenziale, oppure rivenderla all’estero spesso alle stesse aziende comunitarie (‘conduit’) che hanno originato la catena commerciale vendendo originariamente alla missing trader, per far sì che il carosello ricominci.

Il danno per l’Unione Europea è costituito dall’Iva indicata nelle fatture emesse dalle missing traders o “cartiere”, che hanno acquistato la merce senza applicare l’imposta e che la collocano sul mercato nazionale applicandola invece al compratore, senza però versarla all’erario, ma ripartendola tra i complici della frode.

La frode scoperta vede 269 missing traders, 55 buffer, 28 società broker e 52 conduit estere, per un volume complessivo di fatture soggettivamene false pari a 1,3 miliardi di euro, nel solo quadriennio 2020-2023.


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