Dalla ricostruzione delle relazioni genetiche di 39 varietà locali presenti nella collezione originale, nuova spinta al rilancio della filiera cerealicola dedicata.
Varietà di grani “antichi” siciliani più proteici, con migliori proprietà antiossidanti e più resistenti a siccità e cambiamenti climatici sono state recuperate, collezionate e caratterizzate dal punto di vista morfologico e genetico, grazie a uno studio condotto dai Centri di ricerca CREA Cerealicoltura e Colture Industriali e Difesa e Certificazione, i cui risultati sono stati pubblicati recentemente sull’International Journal of Molecular Sciences. Le azioni condotte Il lavoro nasce dall’interesse scientifico rivolto alla valorizzazione della biodiversità dei grani locali siciliani di un gruppo di ricerca che comprende, oltre ai ricercatori di due Centri del Crea (Difesa e Certificazione sede di Bagheria e Cerealicoltura e Colture Industriali sede di Acireale), l’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR di Palermo, l’Università Mediterranea di Reggio Calabria e la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia di Caltagirone.
“Grazie al lavoro di recupero, conservazione e mantenimento da parte del personale della Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia – dice Maria Carola Fiore, ricercatrice del Crea Difesa e Certificazione e coautrice dello studio – il nostro team di ricercatori ha potuto chiarire, con un’accurata caratterizzazione morfo-biometrica e con l’ausilio di marcatori molecolari, le relazioni genetiche esistenti tra le 39 varietà locali siciliane, presenti nella collezione originale, frutto dell’attività di raccolta, descrizione e caratterizzazione condotta da Ugo De Cillis agli inizi del secolo scorso, altre varietà locali di frumenti duri e teneri raccolte e coltivate in Sicilia e Calabria, nonché di farro monococco, dicocco e spelta, per un totale di 126 accessioni studiate”.
La caratterizzazione genetica – effettuata attraverso marcatori in grado di evidenziare differenze anche molto specifiche nella sequenza di Dna – come atteso, ha reso possibile distinguere le diverse specie della preziosa collezione di grani “antichi”, ovvero frumento tenero, farro monococco, farro spelta e le 4 sottospecie di Triticum turgidum: grano duro, turgido, turanico e farro dicocco.
“Le varietà locali – spiega Alfio Spina, dirigente di ricerca del Crea Cerealicoltura e Colture Industriali e coautore dello studio – sono molto più alte delle attuali varietà, caratteristica che le rende maggiormente adatte all’agricoltura biologica, grazie al fatto che riescono ad essere competitive nei confronti delle piante infestanti, sono più proteiche e, quindi, contengono più glutine di quelle moderne, anche se è un glutine con caratteristiche viscoelastiche diverse, meno tenace, ma sono meno produttive delle moderne perché spesso la resa è inversamente proporzionale al contenuto proteico. Inoltre – conclude lo studioso Crea – abbiamo riscontrato che alcune varietà locali, come la Timilia, essendo più ricche di acidi fenolici, hanno maggiori proprietà antiossidanti e sono resistenti a patogeni e ad eventi climatici estremi in quanto per secoli, a partire dalla loro origine e introduzione in coltura, hanno resistito a sbalzi termici, picchi di temperature molto elevati e siccità”. Sono state analizzate, inoltre, le relazioni genetiche e la struttura dei gruppi genetici delle diverse accessioni di grano duro tra varietà “antiche” e moderne e, nello specifico, il livello di variabilità genetica di due varietà locali, la “Timilia” e il “Russello”, diffusamente coltivate in Sicilia, la cui semola viene utilizzata come materia prima in molti prodotti alimentari, presenti non solo nei mercati locali, ma anche nei banchi dei supermercati. Le ricadute Classificare questo importante patrimonio di biodiversità cerealicola, evolutosi nel corso dei secoli nell’ambiente mediterraneo, potrebbe permette di selezionare nuove varietà più resilienti ai cambiamenti climatici e maggiormente adatte a sistemi colturali sostenibili.
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