“Il provvedimento impugnato difetta dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, con precipuo riguardo all’applicazione alla misura della custodia cautelare in carcere nei confronti” di Francesco Mulè, ultrasettantenne. Così il tribunale del riesame motiva la remissione in libertà dell’anziano patriarca del mandamento mafioso di Porta Nuova, a Palermo, prima sottoposto a fermo da parte dei pubblici ministeri e poi arrestato il 17 dicembre, con un’ordinanza di custodia emessa dal Gip.
In sostanza i giudici del collegio presieduto da Simona Di Maida ritengono che fosse necessario che il giudice delle indagini preliminari esprimesse per quale specifica ragione avesse ritenuto di dover mettere in cella Mulè, 76 anni, padre di Massimo, anche lui coinvolto nella stessa operazione antimafia. Il Gip avrebbe dovuto “precisare – si legge nel provvedimento del riesame – in forza di quali elementi risultasse necessaria l’applicazione della misura di massimo rigore“. Francesco Mulè, difeso dagli avvocati Giovanni Castronovo e Simona La Verde, era ritenuto dai Pm al centro di tutta la vicenda che aveva portato al fermo di otto persone. I giudici adesso scrivono di non potere autonomamente commutare l’ordinanza in arresti domiciliari e lo liberano tout court.
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