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Il Cga dice “no” alle interdittive a cascata per le imprese

Il Cga bacchetta, "in astratto", le prefetture

Le interdittive antimafia “a cascata” non possono superare il vaglio di legittimità: le informative negative emesse nei confronti di un’azienda non si possono estendere automaticamente a un’altra impresa “per l’effetto del contagio della pericolosità sociale”. Lo scrive il Consiglio di giustizia amministrativa per la Sicilia, nella sentenza con cui ha comunque rigettato il ricorso di una ditta di costruzioni di Enna, che si era lamentata della propria esclusione dalla “white list”, cioè “l’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, istituito presso la prefettura di Enna”. I giudici del collegio presieduto da Ermanno De Francisco, relatore ed estensore Antonino Caleca, hanno confermato una decisione del Tar di Catania, ritenendo che nel caso specifico fosse stata accertata la “permeabilità alla criminalità organizzata” e che sussistesse un “pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell’esistenza di un condizionamento”.

Ciò posto, il Cga bacchetta, “in astratto”, le prefetture, mettendo dei paletti in senso garantista. Non si può infatti ritenere “portatore del contagio”, cioè dell’infiltrazione mafiosa, “un soggetto presente nella prima compagine societaria, che avesse avuto rapporti (assunzione come dipendente) con il soggetto direttamente ‘sconsigliato’ e che, per tale motivo, avrebbe determinato l’adozione del provvedimento interdittivo”. In sostanza il rapporto di lavoro con chi ha contatti con la criminalità non basta a negare l’ammissione in white list, se il lavoratore poi passa a un’altra azienda. “Sarebbe irragionevole – continua la sentenza 373 del 2024 – ammettere la possibilità di un ulteriore provvedimento limitativo (di ‘terzo livello’) nei confronti di un imprenditore, motivato solo in ragione del fatto di avere assunto un soggetto già destinatario di un provvedimento limitativo, per avere, a sua volta, assunto un soggetto già interdetto, in assenza di ulteriori elementi in fatto idonei a suffragare il giudizio prognostico negativo formulato dalla pubblica amministrazione”. “Così facendo – conclude il Consiglio di giustizia – si legittimerebbe, nel nostro ordinamento, l’assunto che il pericolo di infiltrazione mafiosa è atto alla propagazione ‘soggettiva a cascata’ senza limiti”. Verrebbero cioè violati “principi costituzionali nonché logici: per questa via, all’esito di una propagazione all’infinito dei sospetti, si potrebbe astrattamente arrivare, infatti, a interdire l’intera popolazione di un ambito territoriale”. Nel caso oggetto della decisione, invece, si era registrato “un concreto e verificabile riscontro dell’esposizione all’infiltrazione dei soggetti effettivamente partecipanti alla compagine imprenditoriale”.


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