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Il covo a Campobello, “Da qui si muoveva Matteo Messina Denaro detto U sicco”

In fondo a Vicolo San Vito, ex via Cb 31 che sbuca in un cortile chiuso da quattro muri, sorge un caseggiato di color giallo: qui, dove la campagna scivola verso il mare che guarda l’Africa, ‘U Siccu ha trascorso l’ultimo periodo della latitanza

Tracce biologiche, documenti nascosti, un lavoro di indagine tradizionale con le tecnologie moderne. Nell’appartamento di vicolo S. Vito, una strada cieca che si affaccia su via Vittorio Emanuele a Campobello di Mazara, i Ris di Messina sono al lavoro almeno da ieri sera per fare luce sulla vita di Matteo Messina Denaro. “E’ un lavoro che durerà giorni”, dice Fabio Bottino, comandante provinciale dei carabinieri di Trapani, deludendo i cronisti che vorrebbero entrare, vedere, filmare come viveva uno dei boss più ricercati del mondo.
In fondo a Vicolo San Vito, ex via Cb 31 che sbuca in un cortile chiuso da quattro muri, sorge un caseggiato di color giallo: qui, dove la campagna scivola verso il mare che guarda l’Africa, ‘U Siccu ha trascorso l’ultimo periodo della latitanza, e da qui è uscito per imboccare la Mazara del Vallo-Palermo e dirigersi alla Madalena, la clinica di Palermo in cui è stato braccato dopo 30 anni di latitanza.  “E’ un appartamento normale, ben ristrutturato, confortevole, da cui si comprende che le condizioni economiche del latitante erano buone”, dice Bottino. “Ci sono oggetti di un certo tenore – continua – anche se non proprio di lusso. Le indagini sono in corso, si proseguirà con la ricerca di tracce biologiche, di eventuali nascondigli o intercapedini in cui possano esservi documenti”.
E’ inevitabile che venga alla mente il covo di Riina di trenta anni fa, rimasto immacolato per qualche tempo dopo l’arresto del capo dei capi, e risalta la differenza nell’approccio dei militari. “Stiamo facendo – insiste Bottino – verifiche meticolose, in stretto collegamento con l’autorità giudiziaria. Da almeno sei mesi Messina Denaro stava qui, secondo alcuni accertamenti che abbiamo fatto. L’appartamento è stato ristrutturato da poco tempo, ma la situazione è in divenire”.
Si indaga sull’intestatario: Andrea Bonafede nipote di un capo di quella mafia locale che fa riferimento al mandamento di Castelvetrano, ma che qui non era conosciuto da molti come una persona “normale”, apparentemente senza alcun aggancio mafioso. “Abbiamo frequentato il liceo scientifico insieme”, spiega un consigliere comunale, sottolineando di non aver mai avuto il sospetto che si trattasse di un mafioso. Così come “è un medico stimato” in paese Alfonso Tumbarello, il medico indagato per aver prescritto le terapie al boss, che si presentava sotto le vesti di Bonafede. Eppure, spiega Bottino, “sono state le indagini su Bonafede a indirizzarci qui”.
“Campobello di Mazara – prosegue – fa parte del mandamento di Castelvetrano, con una famiglia mafiosa che nei decenni ha dimostrato efficienza, e con soggetti di grande spessore che hanno affiancato le attività del latitante”.
Si dice che andasse in giro indisturbato, c’è chi lo ha visto a Torretta Granitola, a pochi passi da Campobello, minuscolo centro frequentatissimo durante l’estate. “Quando ho visto la sua foto – dice Carla Prinzivalli, consigliere comunale – sia io che mia madre abbiamo subito avuto la sensazione di averlo già visto, sia qui che a Torretta, dove abbiamo una casa”. “I movimenti di Messina Denaro – sottolinea Bottino – li stiamo verificando. Stiamo cercando di comprendere cosa sia accaduto prima del suo arresto, e siamo fiduciosi di scoprirne la vita”.


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