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Il crac milionario dei supermercati R7, un imputato patteggia

La procura di Agrigento ipotizza che beni e risorse, per oltre 4 milioni di euro, siano stati fatti sparire da una società in vista del fallimento pilotato e "veicolati" su un'altra

Nei mesi scorsi aveva collaborato con gli inquirenti, facendo scattare un secondo filone di inchiesta che ha portato al sequestro di tutti i sette supermercati R7 Sisa della provincia di Agrigento. Gerlando Salvatore Severino, per 7 anni amministratore formale della Al.Ca. srl, chiede di patteggiare 2 anni di reclusione per l’accusa di bancarotta fraudolenta. Gli altri tre imputati, invece, scelgono il giudizio abbreviato. La procura di Agrigento ipotizza che beni e risorse, per oltre 4 milioni di euro, siano stati fatti sparire da una società in vista del fallimento pilotato e “veicolati” su un’altra, costituita per l’occasione con dei prestanome per continuare l’attività dopo essersi liberati di debiti e pendenze. Quest’ultimo passaggio di denaro e mezzi è oggetto della seconda indagine per autoriciclaggio, che lo scorso agosto ha fatto scattare il sequestro disposto dal gip del tribunale di Agrigento, Giuseppa Zampino. Lo stesso giudice, al tempo stesso, ha rigettato, invece, la richiesta della procura di sequestrare i beni personali e di disporre gli arresti domiciliari, con l’applicazione del braccialetto elettronico, nei confronti di Giovanni Alongi, 86 anni e dei figli Carmelo Elio, 53 anni e Giuseppa Laura, 48 anni.

La prima indagine, approdata ora davanti al giudice per l’udienza preliminare Giuseppe Miceli, è stata avviata nel 2020 e ipotizza una serie di distrazioni di denaro dalla società Al.Ca. srl, costituita nel 2012 e gestita dalla famiglia Alongi. Gli imputati, in particolare, secondo l’accusa avrebbero fatto sparire rimanenze di magazzino, in vista dell’affitto dei rami di azienda, nonché soldi in cassa e macchinari per un crac totale di oltre 4 milioni di euro. La finalità, secondo il classico sistema della bancarotta, sarebbe stata quella di svuotare l’impresa, lasciando a mani vuote i debitori (fornitori ed erario) e spostando soldi e risorse nella Quadrifoglio, società “clone”. Dopo la notifica dell’avviso di chiusura dell’inchiesta, Severino ha collaborato con gli inquirenti e rivelato di essere stato costretto a fare da prestanome perché la gestione della società era, di fatto, nelle mani dei fratelli Carmelo Elio e Giuseppa Laura Alongi, descrivendo le operazioni illegali che erano state concluse fra le due società. All’udienza preliminare il suo legale Salvatore Maurizio Buggea ha chiesto, di comune accordo con la Procura, il patteggiamento della pena di 2 anni di reclusione. L’accordo processuale sarà adesso sottoposto al vaglio del gip. I difensori di Giovanni Alongi e dei due figli – gli avvocati Daniela Posante e Antonino Gaziano – hanno, invece, chiesto il giudizio abbreviato. L’udienza è stata aggiornata al 27 gennaio.

Nel 2018 la Direzione distrettuale antimafia di Palermo aveva chiesto, senza ottenerlo, il sequestro e la confisca della società Al.Ca. srl, costituita nel 2012 e gestita dai figli di Alongi. L’azienda, allora, era proprietaria di dieci supermercati R7. La richiesta, ritenuta infondata dai giudici, scaturiva dalla presunta contiguità a Cosa Nostra di Giovanni Alongi, condannato nel maxi processo “Akragas” a 4 anni e 6 mesi per l’accusa di associazione mafiosa dopo essere stato tirato in ballo dai pentiti Alfonso Falzone e Pasquale Salemi. In particolare, secondo quanto accertò la più grossa inchiesta della storia della mafia agrigentina, sarebbe il capo della famiglia di Aragona.


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