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In carcere da un anno in Venezuela per incitamento all’odio: “aiutatemi”. Un 44enne siciliano scrive al ministro degli Esteri Di Maio

È una storia drammatica, di lotta di potere e denaro, malattia e fraintendimenti e da tanti altri risvolti poco chiari quella che vede vittima un pachinese Antonio Calvino, detenuto da quasi un anno in un carcere del Venezuela

È una storia drammatica, di lotta di potere e denaro, malattia e fraintendimenti e da tanti altri risvolti poco chiari quella che vede vittima un pachinese Antonio Calvino, detenuto da quasi un anno in un carcere del Venezuela. Ma tutta in salsa italiana.

Antonio Calvino è stato arrestato, assieme ad un altro italiano Giovanni Mattia. I due italiani ad aprile 2019 avrebbero minacciato – secondo l’accusa – il personale diplomatico del Consolato italiano a Caracas di entrare violentemente nella sede e di contagiarli con il Coronavirus. Calvino e Mattia rischiano fino a 20 anni di carcere per il reato di incitamento all’odio, e Antonio Calvino, 44 anni una moglie e tre figli piccoli, è anche affetto da una grave malattia ai polmoni. Ma andiamo con ordine, sentendo le parole dello stesso pachinese che ora da un carcere in Sudamerica chiede aiuto al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

Chi sono Antonio Calvino e Giovanni Mattia

Calvino ha 44 anni, è nato in Venezuela da genitori pachinesi e in tenera età la sua famiglia è tornata a Pachino, in provincia di Siracusa, in cui ha vissuto sino al 2009. Poi è ripartito in Venezuela, si è sposato ed ha 3 figli di 4, 5 e 7 anni. Giovanni Mattia ha 64 anni ed è nato a Calabritto Provincia d’Avellino. Negli ultimi anni i due si sono fatti portavoce degli emigrati italiani in Venezuela, lottando per i loro diritti. In modo particolare l’attività era mirata a consentire che il Consolato garantisse gli aiuti economici destinati ai medicinali e al cibo. Nel frattempo è nata l’idea di costituire un movimento, e lo hanno chiamato “Giustizia e libertà”, per partecipare alle elezioni interna del “comites” degli italiani in Venezuela, un organismo che si confronta con il Consolato. “Antonio ha lottato per i diritti dei connazionali – ha raccontato Rosa Calvino, sorella di Antonio – si è fatto assieme ad altri portavoce di una esigenza. Ha difeso gli italiani”.

L’ “assalto” al Consolato

Ad aprile del 2021 l’episodio che cambia la vita ai due italiani. Per l’accusa mossa avrebbero tentato di aggredire e prendere con la forza la sede consolare italiana a Caracas con espressioni che incitano all’odio e alla violenza, minacciando il personale diplomatico e locale di entrare violentemente nella struttura, infettandolo con Covid-19 e privandolo dei suoi averi, comprese le risorse corrispondenti alle entrate diplomatiche. Ma la versione dei due italiani è diversa. “Ci siamo recati in consolato – hanno raccontato Calvino e Mattia – per chiedere di essere reintegrati nel programma di assistenza socio-economica, poiché ci era stata arbitrariamente sospesa. Rispettiamo le condizioni imposte dallo Stato italiano affinché un cittadino possa accedere a tale sussidio. Il nostro gruppo mira a ottenere un accordo migliore per gli italiani che hanno bisogno e la tempestiva assistenza del Governo Italiano verso i propri cittadini”. Calvino e Mattia chiedono di incontrare il Console ma vengono rimbalzati. Accade, però, qualcosa di poco chiaro e parte uno sconto verbale – stando a quanto raccontano i due italiani – “ma ci siamo solo difesi – hanno detto – dalle parolacce e dagli attacchi”.

I manifestanti sono stati allontanati dai carabinieri in servizio al Consolato e sono tornati a casa. Dopo 3 settimane sono stati arrestati per “Incitamento all’odio”, un reato che prevede la pena detentiva da 10 a 20 anni. “La mia colpa – ha raccontato Antonio Calvino – è quella di aver aiutato altri connazionali nel percorso di ottenere assistenza da parte del Consolato Generale d’Italia. Non ho altre colpe se non di aver creduto in una giusta causa, insieme ad altri che adesso sono in carcere come me. Non mi sono macchiato di reati di sangue o di minacce a persone, ma sono pentito di quello che ho fatto perché la mia famiglia sta ingiustamente soffrendo per una mia responsabilità. Io sono ammalato di Epoc, che una grave malattia ai polmoni, ed il carcere così lungo non fa bene alla mia salute“.

Adesso i due, con l’assistenza del commercialista pachinese Giuseppe Cambareri, hanno chiesto l’aiuto dell’Italia scrivendo una lettera al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Abbiamo solo chiesto i nostri diritti e quelli di tutti i cittadini italiani all’estero – hanno affermato Calvino e Mattia – manifestando pacificamente per il diritto all’assistenza. Ci auguriamo che Di Maio possa interessarsi a noi, poveri uomini che soffrono ingiustamente in un carcere molto duro qual’è quello venezuelano, dove non possiamo ricevere le cure sanitarie di cui abbiamo bisogno”.

Sebastiano Diamante 


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