La mafia è ancora forte, è florida, fa affari e fa anche politica, a causa della connivenza di settori della pubblica amministrazione e delle istituzioni. Rapporti solidi e “inquietanti” che costruiscono consenso sul territorio e occasioni di arricchimento per i clan, inquinando l’economia legale e i processi democratici. Ma a fronte di tutto questo, la risposta dello Stato, in termini di organici e mezzi della giustizia, appare inadeguata, pur a fronte dei grandi sforzi e dei significativi successi delle forze dell’ordine e della magistratura. Emerge dalla relazione sull’amministrazione della giustizia nel distretto della Corte d’appello di Palermo, del presidente della Corte d’appello, Matteo Frasca, per l’inaugurazione stamane dell’Anno giudiziario.
“Le investigazioni e i conseguenti processi degli ultimi anni – afferma – sono stati in grado di evidenziare come Cosa nostra sia restata perfettamente attiva, con sempre nuovi referenti per le proprie esigenze di controllo del territorio e, soprattutto, ha continuato a conservare le proprie vecchie regole mafiose ricostituendo in modo lesto e spregiudicato gli organi di vertice ogni volta che i precedenti sono stati arrestati e processati”. La presenza criminale della mafia è “ancora oggi particolarmente attiva ed economicamente florida”, rileva.
Con riferimento alle strutture che operano nelle province di Agrigento e Trapani, “le più recenti indagini hanno provato la straordinaria attività e solidità del collegamento con l’articolazione mafiosa palermitana. Tali indagini hanno permesso di scoprire la natura mafiosa di taluni fenomeni criminali prima sottovalutati e, inoltre, di cogliere le connessioni esistenti tra la locale criminalità di stampo mafioso e le diverse realtà territoriali economiche e politico-amministrative”.
Cosa nostra “non solo mantiene importanti e frequentissime relazioni illecite con altre organizzazioni criminali di tipo mafioso, quali per esempio la ndrangheta, ma allo stesso tempo conserva capacità di infiltrazione in settori economici e sociali con lampante connessione ai pubblici appalti, alla ecomafia, alla illecita gestione dei fondi comunitari, al controllo della grande distribuzione ed a tutti quei meccanismi che consentono alla mafia di ottenere posizioni di favore nel mercato economico e finanziario, inquinando e impoverendo il resistente e parallelo mercato lecito”.
E’ di grande allarme “il forte sviluppo del traffico di sostanze stupefacenti”, canale di “floridissimi guadagni per l’organizzazione mafiosa che da tale illecito commercio trae quotidiana fonte di sostentamento ed arricchimento”. Crescono gli affari della mafia in tanti ambiti, grazie soprattutto ai rapporti con la politica. Il settore dei subappalti ne è la riprova. Esso, infatti, “continua a suscitare l’interesse dell’organizzazione sfruttando la inquietante riservata interlocuzione, al di là della rilevanza penale, fra esponenti mafiosi ed amministratori locali”, prosegue nella sua relazione Matteo Frasca.
Inoltre, Cosa nostra “sfrutta abilmente”, da sempre, i subappalti “per la realizzazione dei suoi obiettivi”. In particolare, “è prevedibile, con le allettanti risorse del Pnrr, un’ulteriore espansione di tutte le attività di Cosa nostra indirizzate al fine di lucro, con tentativi di aggiudicarsi ricchezza ingente, attraverso il riciclaggio e l’acquisizione di aziende”. In particolare, Cosa nostra, “prosegue nel tentativo di trovare sponde verso l’economia legale, per trarne benefici consistenti nel tentativo di sfruttare le relazioni con settori corrotti della pubblica amministrazione, così mantenendo il controllo del territorio”.
Ed è “elevatissima – sottolinea il presidente della Corte d’Appello di Palermo – la densità mafiosa nel territorio della provincia trapanese, “storica roccaforte di Cosa nostra”. Se, dunque, l’organizzazione mafiosa mantiene intatta la sua capacità di infiltrarsi pervasivamente nei settori nevralgici dell’economia legale, condizionandone le dinamiche, si deve registrare nel contempo la presenza – aggiunge – di ulteriori realtà criminali, in grado di avvalersi di complicità e connivenze radicatesi presso ampi settori della Pubblica amministrazione ed ambienti deviati della massoneria”. Tale ultimo dato, “particolarmente allarmante, rende immediatamente percepibile l’esistenza di fenomeni degenerativi nell’ambito di alcuni segmenti degli apparati pubblici, in grado di depauperare le risorse destinate alla collettività, di fatto riducendo le possibilità di sviluppo del territorio”.
È inoltre andato via via espandendosi negli ultimi anni lo spazio occupato da una arrembante criminalità comune, “dedita in primis al commercio delle sostanze stupefacenti oltre che alle tradizionali attività predatorie”.
Nell’ambito di tale contesto delinquenziale taluni soggetti sono riusciti ad emergere assicurandosi una sorta di rendita di posizione, offrendo in cambio servizi extra ordinem (ad esempio favorendo occupazioni abusive di immobili), garantendosi, da ultimo, proficui spazi di manovra, in particolare in occasione delle competizioni elettorali, grazie alla messa a disposizione di pacchetti di voti – riconducibili, in genere, agli abitanti delle zone più degradate – con l’evidente scopo di indirizzare indebitamente le scelte delle amministrazioni locali”.
A fronte di questa sfida grande, Matteo Frasca indica che l’organico del Tribunale palermitano “è da tempo inadeguato a far fronte alla domanda di giustizia, aumentata in maniera esponenziale, senza che correlativamente sia stato accresciuto il numero dei giudici addetti all’ufficio che in atto sconta un vuoto nell’organico dei magistrati togati di 17 giudici e 3 presidente di sezione, oltre che di 12 giudici onorari”. Al di là di una pianta organica del Tribunale di Palermo “già di per sé inadeguata in quanto immaginata per una magistratura giudicante operante in epoca antecedente alla istituzione presso gli uffici requirenti delle direzioni distrettuali antimafia e all’esplosione dei flussi migratori dall’Asia e dall’Africa con sbarchi continui sulle coste della Sicilia sud-occidentale che si traducono anche nella iscrizione di migliaia di procedimenti per la protezione internazionale”, le significative scoperture e la prolungata assenza di magistrati nell’ufficio “si coniugano con fattori contingenti di particolare rilievo anche sul piano sociale che connotano in modo specifico la realtà territoriale del distretto di Palermo e che hanno contribuito alla recente e notevole lievitazione dei procedimenti sia nell’ambito della giurisdizione civilistica sia in quella penalistica”.
Il riferimento corre, principalmente, ai riflessi giudiziari da una parte delle ingerenze mafiose sulle medie e piccole imprese in crisi, del distretto palermitano, derivante dalla interruzione delle attività imposta dalle misure anti-Covid degli anni 2020-2021, dall’altra “l’effetto Tunisia sull’incremento incontrollato degli sbarchi di cittadini extracomunitari dell’ultimo biennio”. Con riguardo ai fenomeni migratori e all’incidenza sulle attività del Tribunale sul versante civilistico, “va evidenziato che dall’analisi dei dati relativi alla Protezione internazionale risulta un aumento molto consistente delle sopravvenienze che ha determinato, inevitabilmente, un incremento rilevantissimo della pendenza, passando dai 2.094 procedimenti del 31 dicembre 2022 ai 3.539 del 30 giugno 2024, con un trend in costante aumento (nel primo semestre sono stati definiti 932 procedimenti a fronte dei 1.775 di nuova iscrizione). Ad agosto è stato aperto il Centro di trattenimento per i rimpatri a Porto Empedocle, con conseguente incardinamento presso il Tribunale di Palermo della competenza per territorio”.
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni