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La Consulta dichiara incostituzionale la norma spalma deficit in 10 anni della Regione Siciliana

La Regione siciliana doveva spalmare il disavanzo in tre anni e non in dieci anni come ha fatto in virtù dell'articolo 7 del decreto legislativo 27 dicembre 2019, 158.

Con la sentenza numero 9 della Corte costituzionale (presidente Augusto Barbera, redattore Angelo Buscema) sono stati dichiarati incostituzionali diversi articoli delle leggi della Regione Siciliana del 2019 e 2021, norme che, spalmando il disavanzo in dieci anni, avrebbero permesso alla Regione di effettuare spese anche senza la necessaria copertura economica ma anche un sistema che avrebbe potuto mettere in serie difficoltà chi nei prossimi anni si ritroverà alla guida dell’ente. Ora la Corte Costituzionale blocca quasi tutto.

In particolare, è illegittimo l’articolo 7 del decreto legislativo 27 dicembre 2019 in materia di armonizzazione dei sistemi contabili dei conti giudiziali e dei controlli. Dichiarato illegittimo l’articolo 4 comma 2 della legge della Regione Siciliana del 20 dicembre 2019 n. 30 sull’assestamento di bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e per il triennio 2019-21. Illegittimo anche l’art. 110 commi 3, 6 e 9 della legge della Regione Siciliana del 15 aprile 2021 n. 9 relativa alle disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2021. In parole povere la legge di stabilità regionale.

A sollevare alcune perplessità erano stati i giudici della Corte dei Conti della Regione Siciliana che hanno trasmesso la documentazione a Roma. Ora c’è la pronuncia. Con il dispositivo viene evidenziato che con l’art. 110, ai commi 3, 6 e 9 della legge regionale del 15 aprile 2021 dispone “variazioni retroattive sulle poste attive e passive del bilancio, già assoggettate a parificazione per l’esercizio antecedente, che lasciano ex post prive di copertura le obbligazioni assunte in corso di quell’esercizio”, scrive la Corte costituzionale aggiungendo che “l’assenza di copertura provoca uno sbilanciamento economico-finanziario nelle risultanze degli esercizi successivi, determinando il contrasto con il principio che sancisce l’obbligo di copertura della spesa e con il principio di equilibrio di bilancio”. L’art. 4, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 30 del 2019 è stato dichiarato incostituzionale perché prevede la modifica del piano di rientro dal disavanzo pregresso già approvato con la legge della Regione Siciliana 30 settembre 2015, n. 21 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione per il triennio 2015-2017. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2015 e al bilancio pluriennale per il triennio 2015-2017. Disposizioni varie) per ripianare il saldo finanziario negativo pari a euro 7.313.398.073,97. Un assestamento che sarebbe dovuto avvenire in un arco temporale da un minimo di dieci anni ad un massimo di trenta.

La dilatazione dei tempi di recupero del deficit e la correlata riduzione dell’ammontare delle quote come originariamente determinate e accantonate e/o vincolate nel risultato di amministrazione – scrive la Corte Costituzionale – comporta, quale diretta conseguenza, un notevole ampliamento della capacità di spesa della Regione Siciliana, la quale è incentivata ad effettuare nuove spese senza prevedere una idonea copertura, piuttosto che coprire il disavanzo precedente, provocando un peggioramento del già precario equilibrio finanziario”.

La sentenza della Corte costituzionale dichiara illegittima la norma del 2019 che consentiva di diluire in dieci anni il disavanzo della Regione a quel tempo esistente. L’equilibrio dei nostri conti, comunque, non è in discussione poiché nel frattempo abbiamo rispettato le indicazioni di Roma e della Corte dei conti, abbattendo il disavanzo e rimettendo la Sicilia in regola. In ogni caso, la norma oggetto della sentenza è stata superata dalla disposizione legislativa del 2022 che accorda alla Sicilia il ripiano del disavanzo in otto anni”. Lo dichiara il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, commentando la decisione della Corte costituzionale che ha cassato l’articolo 7 del decreto legislativo 27 dicembre 2019, 158.

Nel 2022 – aggiunge l’assessore all’Economia, Marco Falcone – siamo scesi da 6 a 4 miliardi di euro e per il rendiconto 2023 le nostre previsioni accreditano un ulteriore calo di ben 500-700 milioni. Proseguiremo, dunque, nella virtuosa operazione di ripiano del nostro debito senza incidere sul livello dei servizi offerti dalla Regione, e anzi potenziandoli e incrementando gli investimenti“.


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