Il processo scaturito dall’operazione “Plastic Free”, messa a segno ad ottobre del 2019 a Vittoria, nel Ragusano, dalla Polizia di Stato (squadra mobile di Ragusa e Catania) e coordinata dalla Dda di Catania è alle battute conclusive. L’operazione, secondo la tesi dell’accusa, aveva disarticolato un gruppo mafioso riconducibile alla ‘stidda’.
A quattordici soggetti, (per uno, posizione stralciata per motivi di salute) veniva contestato il coinvolgimento a vario titolo in una serie di reati: estorsione pluriaggravata, illecita concorrenza con minaccia, lesioni aggravate, ricettazione, detenzione e porto di armi da sparo, danneggiamento in seguito ad incendio, traffico illecito di rifiuti aggravato. Reati commessi con metodologia mafiosa. Ieri l’accusa, rappresentata dal Pm della Dda Alfio Gabriele Fragalà, davanti al Tribunale collegiale di Ragusa (presidente Panebianco, a latere Manenti e Rabini) ha pronunciato la requisitoria che si è conclusa con le richieste di condanna in primo grado per un totale di 150anni e 9 mesi di carcere.
Fragalà ha avviato la sua analisi delle prove a sostegno delle tesi accusatorie, partendo dalle evidenze della mutazione delle dinamiche operative mafiose tra criminalità e imprenditoria, oggi sempre più evolute in collusioni, connivenze, accordi economici, e che pure mantengono punti fermi e capacità intimidatoria. Il settore è quello della filiera e del riciclo della plastica, molto importante in un territorio, quello Ragusano, dove la produzione orticola in serra è preponderante, ed economicamente e storicamente oggetto di interessi della criminalità.
Il Pm della Dda ha ricostruito la storia delle persone coinvolte nell’operazione arrivando poi, nelle richieste di condanna, a delinearne i ruoli. I gruppi che concorrono all’accordo criminale, sono divisi tra imprenditori, personaggi che esercitano la ‘forza intimidatrice’, e raccoglitori della plastica.
Si inizia dagli imprenditori: Alfio Gabriele Fragalà definisce i rapporti con la mafia di Giovanni Donzelli, imprenditore della SIDI, ditta che opera, appunto, nel settore della plastica, e ebbe fin dall’origine della ‘stidda’, rapporti con Claudio Carbonaro e Carmelo Dominante per un reciproco vantaggio nella gestione di affari procacciati e gestiti; ne ha delineato la contiguità, resa con la disponibilità a mettere a disposizione covi per la latitanza ma anche nel riciclo di proventi illeciti, elementi confermati – secondo la lettura di Fragalà – anche nel riscontro delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e di alcune intercettazioni.
Il figlio Raffaele Donzelli ha invece precedenti nel settore economico finanziario, per una serie di bancarotte per distrazione, con ditte che vengono definite “SIDI in numerose altre vesti” e con denominazioni diverse. Ci sono poi Claudio Carbonaro e Salvatore D’Agosta oltre ad una terza persona la cui posizione è stata stralciata per valutare l’effettiva capacità di partecipare al processo per gravi condizioni di salute. Sono i fondatori della ‘stidda’,
Carbonaro è uomo d’onore di ‘cosa nostra’ Palermo. Nel Vittoriese avvia un clan efferato e a lui sono imputati una cinquantina di omicidi negli anni 80/90 e poi diventa collaboratore di giustizia. Grazie alle sue dichiarazioni negli anni 90-2000 viene smantellata la stidda. Salvatore D’Agosta è invece un “mammasantissima”, esponente di spicco del clan che si contrappose alla stidda dei Carbonaro-Dominante.
Saranno loro la forza intimidatrice nell’accordo. Siamo ai raccoglitori della plastica, la famiglia Minardi: Emanuele, Antonino, Salvatore (classe ’74), Salvatore (classe ’95) e Crocifisso rappresentano un gruppo dedito storicamente alla raccolta della plastica. Del gruppo, solo Emanuele con una vecchia condanna in ‘tema mafia’. Queste tre componenti avrebbero concorso nei reati per ottenere reciproci vantaggi.
Secondo la tesi accusatoria, le aziende di Donzelli volevano stroncare l’unica ditta concorrente e per farlo si sarebbero avvalse della forza intimidatrice di Carbonaro e D’Agosta, e della raccolta della plastica effettuata dai Minardi. Un accordo criminale “strutturato” lo definisce Fragalà, con vantaggi per tutti.
Per Donzelli che assume una posizione prevalente, per i Minardi che raccolgono e conferiscono dai Donzelli senza più “rivali” e confinamenti da concorrenti dalla vicina Gela, per entrambi con il vantaggio ‘retribuito’ di avvalersi di persone con un curriculum criminale notevole. E ciò inizierebbe quando Claudio Carbonaro a fine del “sistema di protezione” rientra a Vittoria e si presenta da Donzelli: ha bisogno di lavorare e di ottenere sostegno anche in virtù di somme prestate in passato.
E la contingenza è data dalla concorrenza di un’altra ditta che toglie a Donzelli una parte di fatturato. Nasce una intesa: Carbonaro avrà il 5 per cento. E più plastica va a finire da Donzelli (che può rivenderla) e più aumentano i guadagni. E la “voce grossa” di Carbonaro annulla in sostanza chi faceva concorrenza a Donzelli e permette a Minardi di operare in tranquillità.
Nella operazione messa in atto, secondo la tesi della Procura, non ci sarebbe alcuna traccia di intimidazione; l’operazione è il frutto di un accordo economico criminale per metodo e sistema e che l’accordo evidenzi ruoli, finalizzazione, danni ai concorrenti e vantaggi a chi ne fa parte, per la Procura sarebbe evidente. Ci sono poi estorsioni, intimidazioni e danneggiamenti oltre al traffico illecito di rifiuti.
Il Pm ha chiesto la condanna a 22 anni per Claudio Carbonaro, 16 anni e 8 mesi per Salvatore D’Agosta; 16 anni e 3 mesi per Giovanni Donzelli; 12 anni per Raffaele Donzelli; 15 anni e 6 mesi e 12mila euro di multa per Antonino Minardi; 15 anni e 12mila euro di multa per Emanuele Minardi; 10 anni e 6 mesi e 8.000 euro di multa per Crocifisso Minardi; 12 anni e 8mila euro di multa per Salvatore Minardi (classe 1974); 10 anni e 6 mesi e 7mila euro di multa per Salvatore Minardi (classe 1995); 12 anni e 6 mesi e 10mila euro di multa per Giuseppe Ingala. Richiesta la condanna per traffico illecito di rifiuti per Francesco Farruggia a 1 anno e 6 mesi; Giovanni Longo, Andrea Marcellino e Luciano Pazzoni a 2 anni ciascuno.
Poi alcuni “non doversi procedere per prescrizione”: per Gaetano Tonghi e Salvatore D’Agosta per un danneggiamento; per Raffaele Donzelli e Antonino Minardi per la ricettazione di un’arma. Ora per 4 udienze parleranno le difese, prima che il Tribunale pronunci la sentenza di primo grado.
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