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Maxi blitz Palermo, in 141 restano in carcere

Revocata invece la misura cautelare nei confronti di Salvatore Ruvolo, titolare del parco giochi Bossolandia di viale Campania, nel capoluogo siciliano

Il primo bilancio è di 141 che restano in carcere su 181 persone arrestate martedì nel maxiblitz dei carabinieri, coordinato dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Un’operazione che ha disarticolato la rete dei boss dei vari mandamenti della città e della provincia, non solo i vertici ma anche picciotti, cosiddetti uomini d’onore, esattori del pizzo e semplice manovalanza adibita ai pestaggi. Oltre ai 141 rimasti in cella, 11 sono andati agli arresti domiciliari, 12 sono liberi ma con l’obbligo di firma e una quindicina di altre posizioni sono ancora al vaglio dei magistrati.

Regge, dunque, l’impianto accusatorio del pool coordinato dal procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Marzia Sabella. Colpite le cosche di Pagliarelli, Tommaso Natale, Santa Maria di Gesà, Porta Nuova, Cinisi, Carini e Bagheria . Fra i reati contestati il traffico di droga. Dall’indagine è emerso che molti capimafia detenuti riuscivano a comunicare con l’esterno grazie a cellulari introdotti illegalmente in carcere e attraverso criptofonini dotati di software che ne impedivano l’intercettazione, usati anche dai mafiosi in libertà.

Il Gip del tribunale di Arezzo ha invece revocato la misura cautelare nei confronti di Salvatore Ruvolo, arrestato nel maxiblitz di martedì: si tratta del titolare del parco giochi Bossolandia di viale Campania, nel capoluogo siciliano. La decisione è del giudice toscano perché Ruvolo, difeso dall’avvocato Anthony De Lisi, era stato sottoposto a fermo mentre si trovava occasionalmente nell’Aretino: per legge la convalida del fermo viene così delegata al magistrato del luogo in cui il provvedimento restrittivo viene eseguito.

Determinante per la revoca della custodia in carcere la confessione (parziale, secondo l’accusa) da parte dell’uomo: Ruvolo ha cioè ammesso di avere malmenato un ladruncolo trovato nella sua struttura ricreativa, di notte, negando però di averlo portato prima alla Kalsa e poi nel rione Pagliarelli e ancora smentendo di essere stato in compagnia di sette familiari, così come emergeva dalle intercettazioni fatte al ladro, Daniele D’Angelo. Quest’ultimo raccontava i fatti al boss Giuseppe Biondino, figlio dell’autista di Totò Riina, spiegandogli di essersi salvato la vita solo dopo avere speso il suo nome, dicendo cioè a Ruvolo e compagni di avere un’amicizia così “eccellente”, nell’ambiente mafioso. A quel punto la vittima (e su questo ci sono i riscontri trovati dai carabinieri grazie ai tracciamenti dei cellulari e alle riprese di alcune videocamere di sorveglianza) sarebbe stato riaccompagnato al parco giochi e “rilasciato”. In ogni caso, secondo il giudice, con la confessione e l’ammissione del fatto storico, sono venute meno le esigenze cautelari.


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