Oltre sei secoli di carcere e un impero economico confiscato tra decine di imprese e milioni di euro. Il presidente del tribunale di Patti ha impiegato quasi un’ora, intorno a mezzanotte, per leggere la sentenza del processo Nebrodi, scaturito dalla maxi inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Messina che ha puntato i riflettori sulla cosiddetta “mafia dei pascoli” e sul vasto sistema delle truffe in agricoltura con i fondi europei. In tutto 90 condanne per un totale di oltre 640 anni di carcere, con pene che vanno dai 2 ai 30 anni; 10 assoluzioni e una prescrizione.
Al centro gli assetti dei clan tortoriciani, ma anche il business dei contributi comunitari in agricoltura concessi dall’Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura. Un sistema al scandagliato dalla Guardia di Finanza e dal Ros dei carabinieri che a gennaio 2020 sfociarono nell’operazione che portò a 94 arresti e al sequestro di 151 imprese, conti correnti e rapporti finanziari per associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento a seguito di incendio, uso di sigilli e strumenti contraffatti, falso, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, truffa aggravata.
Il maxiprocesso dei Nebrodi è scaturito dai risultati delle indagini svolte nel territorio dei Nebrodi che da un lato hanno ricostruito il nuovo assetto del clan dei Batanesi, operante nella zona di Tortorici, dall’altro si sono concentrate sulla costola del clan dei Bontempo Scavo. Una delle più vaste operazioni antimafia e che ha riguardato i fondi europei dell’agricoltura in mano alle mafie, eseguite in Italia e all’estero.
I giudici si erano ritirati in camera di consiglio lunedì 24 ottobre. Ne sono usciti intorno alle 23.15 e il presidente del Collegio Ugo Scavuzzo ha finito poco dopo la mezzanotte la lettura del poderoso dispositivo del processo, a carico di 101 imputati, che si è concluso con 90 condanne, 10 assoluzioni e una prescrizione. Il tribunale, oltre a infliggere circa 640 anni di carcere, ha previsto la confisca di 17 imprese e di somme di denaro per circa 4 milioni di euro. Disposto il risarcimento alle parti civili.
La condanna più alta, 30 anni di reclusione, è stata disposta per Aurelio Salvatore Faranda, mentre 25 anni e 7 mesi sono stati previsti per Sebastiano Bontempo detto “biondinu”, 23 anni e 6 mesi per Sebastiano Conti Mica detto “belloccio”, 21 anni e 8 mesi per Vincenzo Gaslati Giordano detto “lupin”. Inoltre sono stati condannati Domenico Coci a 17 anni e 6 mesi e Giuseppe Costanzo Zammataro detto “carretta” o “carreteri” a 16 anni e 4 mesi. Condannati anche Pasqualino Agostino Ninone a 13 anni e 4 mesi , Calogero Barbagiovanni a 15 anni e 6 mesi e Sebastiano Craxi a 13 anni e 7 mesi.
Il tribunale di Patti ha disposto diverse assoluzioni parziali, ma solo in dieci sono stati assolti totalmente e c’è anche una prescrizione. Assolti Lucrezia Bontempo, Sebastiana Calà Campana, Andrea Caputo, Arturo Carcione, Rosa Maria Faranda, Innocenzo Floridia, Giuseppina Gliozzo, Alessandro Giuseppe Militello, Elisabetta Scinardo Tenghi e Salvatore Terranova.
“Le truffe – ha detto il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio – sono state riconosciute per buona parte. Resta il fatto che su quella parte di territorio della provincia di Messina le truffe hanno costituito la principale fonte di arricchimento sia del gruppo mafioso dei Batanesi sia del gruppo dei Bontempo Scavo“.
Il meccanismo di impossessamento dei fondi europei è stato interrotto dal ‘protocollo Antoci’, poi recepito nel nuovo Codice antimafia e votato in Parlamento il 27 settembre 2017. L’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, oggi presidente onorario della Fondazione Caponnetto, è scampato a un attentato mafioso nel 2016. “Lo Stato ha vinto – il suo commento – è un momento importante perché questo Paese ha bisogno di risposte. Da questa esperienza esce la risposta di un territorio che ha fatto il proprio dovere, abbiamo fatto semplicemente quello che andava fatto e che da tanti anni non veniva fatto. Abbiamo superato il silenzio e tentato di far capire che i fondi europei per l’agricoltura dovevamo andare alle persone per bene e non ai mafiosi, ai delinquenti, ai capimafia”.
“Viene smantellato – per la Cgil siciliana – un sistema che ha oppresso per anni un territorio, mortificandolo con la violenza e il malaffare e accaparrandosi risorse che dovevano servire allo sviluppo. Si chiude una pagina triste, si scrive una nuova pagina di storia che speriamo determini la libertà di un territorio”.
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