“La decisione di uccidere i due giudici non fu un fatto isolato, ma ben piazzato al centro di una strategia stragista a cui Matteo Messina Denaro ha partecipato con consapevolezza dando un consenso, una disponibilità totale della propria persona, dei propri uomini, del proprio territorio, delle famiglie trapanesi al piano di Riina che ne fu così rafforzato e che consentì alla follia criminale del capo di Cosa nostra di continuare nel proprio intento: anzi, piu che di consenso parlerei di totale dedizione alla causa corleonese”: il ruolo del boss di Cosa Nostra nella cupola stragista, di cui era l’ultimo esponente in libertà, è stato definito con molta chiarezza da Gabriele Paci, che ne indicò la statura mafiosa nella requisitoria al processo che, cominciato nel 2017 e concluso dopo tre anni con l’ergastolo.
Il latitante di Castelvetrano era già stato condannato all’ergastolo per le stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano in cui morirono dieci persone. Il boss fu anello di collegamento tra le bombe del 1992 pretese da Totò Riina e gli attentati nel nord Italia dell’anno dopo, volute da Bernardo Provenzano. In quell’estate iniziò la sua latitanza che prosegue da 30 anni. “Messina Denaro è stato un mafioso che ha rinunciato a qualsiasi spazio vitale di autonomia sapendo che era l’inevitabile dazio da pagare per la sua ascesa dentro Cosa nostra, carriera che Riina favorì, nominandolo reggente della provincia di Trapani”, sottolineò Paci durante la requisitoria.
Il figlio di ‘Ciccio’ Messina Denaro era il “pupillo” di ToTò Riina. “Era il suo successore, una sua creatura. Il futuro di Cosa nostra in quella provincia (Trapani, ndr) era Messina Denaro, incensurato, sconosciuto alle forze dell’ordine, era libero di muoversi. Ricopriva una posizione invidiabile per quanto riguardava le aspettative di Riina e di suo padre Francesco”, ha sottolineato il procuratore capo facente funzioni Antonino Patti, nel corso della sua requisitoria nell’ambito del processo che si celebra in Corte d’assise d’appello a Caltanissetta. “Nel 91/92 Ciccio Messina Denaro – ha spiegato ancora Patti – non era ancora vecchio e neanche così malato da non poter esercitare il ruolo di capo provincia, ma come reggente scelse il figlio Matteo. Era tutto già stabilito, perché Matteo era capace a livello criminale, attestazione proveniente da Totò Riina il quale gli fece fare un tirocinio di cinque anni. Padre e figlio andavano d’amore e d’accordo. Riina disse riferendosi a Francesco Messina Denaro ‘questo figlio me lo diede per farne quello che dovevo fare’. Ufficialmente Francesco rimase capo provincia fino alla sua morte ma le decisioni le prendeva il figlio Matteo”.
LE STRAGI DEL 1992, IL RUOLO DI PRIMISSIMO PIANO
Matteo Messina Denaro, scrivono i giudici di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza che ha condannato all’ergastolo il boss per le stragi del 1992 – è stato “l’unico a seguire il boss corleonese in una pletora di riunioni (organizzative, preparatorie, esecutive), considerabili estrinsecazione del piano stragista”. “Le famiglie trapanesi, divenute al termine della guerra di mafia dell’81 le più fedeli alleate dei corleonesi – aggiungono i giudici – sono state le prime ad essere informate da Riina della nuova strategia mafiosa di attacco allo Stato”.
Il suo ruolo nella cupola stragista emerge anche da una riunione, riferita dai collaboratori di giustizia, svolta alla fine del 1991 a Castelvetrano in cui il capo dei corleonesi, Totò Riina, avrebbe detto di “togliersi i sassolini dalle scarpe“. La riunione di Castelvetrano si svolse in epoca successiva al 26 settembre 1991, data in cui venne trasmesso il primo programma televisivo giudicato dai mafiosi offensivo – verosimilmente anche dopo il 7 ottobre 1991, giorno di scarcerazione dagli arresti domiciliari di Filippo Graviano – e in epoca certo precedente al 2 novembre 1991, data dell’attentato dinamitardo ai danni dell’immobile di Pippo Baudo“. Matteo Messina Denaro, ha ricordato Patti, interveniva alle riunioni “anche alla presenza del padre e ricopriva le funzioni di capo provincia assumendosi la responsabilità personale di ciò che veniva deciso. Oltre alle alleanze militari c’erano anche altre alleanze legate ai soldi. Riina gli ha affidato degli investimenti tramite il prestanome Francesco Geraci, ufficialmente gioielliere”.
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