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Morì nel 2011 in un incidente in barca, la moglie chiede giustizia: “lo stanno ammazzando di nuovo”

Carmelo Palmitano ha perso la vita in un incidente al porto di Santa Panagia

Tredici anni di attese, speranze, delusioni e tanto dolore, vissuto però con lo sguardo vigile verso l’obiettivo finale: la ricerca della verità e della giustizia per la morte del marito.

Questo è il lungo calvario che Lucia Cavarra sta attraversando dal 3 gennaio 2011, quando alle 18 parlò per l’ultima volta al telefono con Carmelo. Poi la tragedia. Lei non venne avvertita subito, ma nel suo cuore si agitava qualcosa quando il tempo passava e di lui non si avevano notizie. Carmelo Palmitano, a 69 anni, era morto. Lei lo vide direttamente nella sacca mortuale dopo l’arrivo al porto di Santa Panagia.

Palmitano coltivava la sua più grande passione: la pesca. Ed è proprio lì, in mare, che ha perso la vita, nella collisione a bordo della sua piccola imbarcazione contro un’unità del gruppo barcaioli dei servizi tecnici portuali, in prossimità del pontile della raffineria Isab.

Sull’esatto punto in cui si verificò lo scontro e sulle misure di sicurezza – rispettate o no – è stato dibattuto tanto nell’arco di questi lunghi anni. In un primo momento il caso è stato archiviato, poi si è andati a processo perché il giudice ha accolto l’opposizione dell’avvocato Luca Ruaro. In primo grado l’uomo che era alla guida del mezzo che ha urtato il signor Palmitano è stato condannato per omicidio colposo.

Una sentenza che aveva dato speranza e un senso di giustizia nella signora Cavarra. Una sorte di appagamento che non è durato molto: in appello, infatti, tutto è stato ribaltato perché “il fatto non sussiste”.

Su questa seconda sentenza molte perplessità sono state espresse dal legale della famiglia Palmitano che però non si è arreso e ha presentato appello in Cassazione, ottenendo il rinvio alle sezioni unite con udienza a marzo del prossimo anno. Questo in breve il racconto giudiziario di questi 13 anni. Sul piano emotivo probabilmente non esistono parole adatte a descrivere il dolore di una donna che, da un giorno all’altro, si è vista strappare il marito. Ma lei, lo dice sempre, si è fatta forte per i figli e per i nipotini che “conoscono il nonno solo per foto”, racconta.

E così, ancora una volta, Lucia ripone fiducia in questa nuova fase del processo. Ma, non riesce a nasconderlo, è amareggiata.

“Stanno uccidendo mio marito più volte – dice – Ogni volta che in un’aula di tribunale sento qualcosa che offende la sua memoria, ogni volta che qualcuno prova a dare la colpa del sinistro solo a lui, ogni volta che qualcuno mi chiede se lui soffriva di qualche patologia, sento che nessuno gli stia portando rispetto. Sento che neppure da morto possa riposare in pace. Ma lui era mio marito, e io non mi arrenderò mai. Continuerò a portare avanti questa battaglia”.

Poche parole sull’imputato, nei confronti del quale dice di non nutrire odio: “io non voglio vedere nessuno in carcere, e non voglio vedere nessuno soffrire, ma voglio verità e giustizia”.

Nelle sue parole traspare molta determinazione e forza. Nonostante il suo corpo minuto, con uno sguardo gentile, racchiude un’enorme energia, nonostante i suoi 72 anni.

“Sarà l’ultima cosa che faccio nella mia vita, ma – conclude – il mio Carmelo avrà giustizia”.


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