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Morto per un in incendio in casa nel Siracusano, il Gip convalida i fermi per due indagati

I due, nel corso dell’interrogatorio di convalida della misura cautelare, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere ed il loro legale, l’avvocato Antonio Meduri, si era espresso per la loro scarcerazione per mancanza di  gravi indizi di colpevolezza

Il Gip del Tribunale di Siracusa ha convalidato i fermi di Salvatore Cannata e Marco Accarpio, cognati, entrambi accusati di aver appiccato le fiamme in un appartamento, a Noto, costato la vita ad un uomo di 36 anni, Vincenzo Blanco. I due, nel corso dell’interrogatorio di convalida della misura cautelare, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere ed il loro legale, l’avvocato Antonio Meduri, si era espresso per la loro scarcerazione per mancanza di  gravi indizi di colpevolezza. Secondo quanto emerso nell’inchiesta della Procura di Siracusa e della polizia di Noto, i due indagati, sentendo il fiato sul collo delle forze dell’ordine, avrebbero voluto scappare e andarsene in Germania, come emergerebbe dall’ascolto delle intercettazioni, per cui, temendo una loro fuga, il pm Marco Dragonetti, ha emesso il fermo.

Nel registro degli indagati ci sono anche due minorenni, che, nella tesi degli investigatori avrebbero avuto un ruolo in questa vicenda. Per la Procura, l’incendio potrebbe essere legato ad un debito di droga contratto dal fratello della vittima con uno dei due cognati, e da qui la decisione di dargli una lezione. Vincenzo Blanco si sarebbe trovato al primo piano e il fratello al pianterreno, da cui si sono originate le fiamme che poi si sono propagate verso l’alto. Il 36enne è rimasto intossicato e questo gli avrebbe impedito di mettersi in salvo. Avrebbe anche provato a spegnere l’incendio: un particolare che le forze dell’ordine desumono dal secchio trovato accanto al cadavere. Sono state le immagini delle telecamere della zona  in cui è scoppiato il rogo a consentire agli inquirenti di risalire ai due cognati.  I poliziotti si sono avvalsi anche di video pubblicati sui social dagli stessi indagati.


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