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Muore dopo essere stato dimesso dal Pronto Soccorso: due dottoresse assolte, una condannata

Secondo i periti l’esame specifico richiesto dall’accusa non avrebbe potuto individuare l’emorragia

Si è concluso il processo a carico di tre medici del Pronto soccorso dell’ospedale Umberto I di Siracusa accusate di omicidio colposo per colpa medica per la morte di G.C., il paziente che il 23 luglio 2021 si era presentato al Pronto soccorso riferendo di aver vomitato sangue.

A processo erano finite le dottoresse S.M., difesa dall’avvocato Giampiero Nassi, M.A., difesa da Massimo Milazzo, e V.U., assistita dagli avvocati Sofia Amoddio e Sebastiano Teodoro. Secondo la ricostruzione del pubblico ministero Enea Parodi, alle tre era contestato di non aver disposto l’esecuzione di un’esofagogastroduodenoscopia (Egds), esame che — secondo l’accusa — avrebbe potuto individuare un’ulcera e consentire un tentativo di cicatrizzazione.

Il paziente entrò in ospedale alle 10:54 del 23 luglio 2021 e venne dimesso alle 02:53 del 24 luglio, dopo circa 16 ore di permanenza. Tornato a casa, morì tra le 17 e le 20 del giorno stesso, secondo quanto accertato dall’autopsia, per insufficienza respiratoria acuta per ingestione di sangue, determinata da uno shock emorragico da lesione di ulcera.

Il procedimento, istruito dal giudice Liborio Mazziotta, è stato segnato da una perizia tecnica collegiale disposta dal tribunale, la quale ha concluso che durante la degenza in ospedale il paziente non presentava sanguinamento in atto dallo stomaco, come evidenziato anche dalla Tac toracica eseguita in quelle ore. In sostanza, secondo i periti, l’esame specifico richiesto dall’accusa non avrebbe potuto individuare l’emorragia.

In aula, l’avvocato Milazzo ha sottolineato come la Tac fosse stata eseguita in sostituzione dell’Egds e che le linee guida raccomandano l’esame endoscopico entro 24 ore, quindi non durante il turno delle dottoresse poi assolte.

Diversa la posizione per V.U., condannata a 4 mesi (pena sospesa) e al pagamento di una provvisionale di 80 mila euro in favore della parte civile, oltre alle spese legali. La parte civile non ha citato in giudizio l’Azienda sanitaria provinciale, e il giudice si è riservato nelle motivazioni, che chiariranno il profilo di responsabilità residua.


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