Concedere gli arresti domiciliari al fiancheggiatore dell'”indiscusso vertice di Cosa nostra, da lungo tempo latitante“, cioè Matteo Messina Denaro, “svilisce indebitamente la peculiarità del caso” di Cosimo Leone, tecnico di radiologia finito in carcere per avere assistito il boss durante la degenza nell’ospedale di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, dandogli anche un cellulare “sicuro”. Leone, che aveva fatto ricorso al tribunale del riesame di Palermo, aveva ottenuto la derubricazione del reato, da concorso esterno in associazione mafiosa a favoreggiamento aggravato, con conseguente attenuazione della misura cautelare.
Ora la sesta sezione della Cassazione ha accolto il ricorso della Procura di Palermo, scritto dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dal sostituto Gianluca De Leo: la posizione di Leone e il suo passaggio dalla cella a casa vanno sottoposti a un nuovo giudizio del riesame di Palermo, ovviamente con un altro collegio. “L’apporto consapevolmente fornito alla persona di Messina Denaro – scrive il giudice relatore Ombretta Di Giovine – non poteva non tradursi in un altrettanto doloso contributo all’associazione da questi capeggiata. Che, come osservato dal pm nel suo ricorso, sarebbe stata messa a repentaglio dall’arresto del suo capo”.
Proprio sulla valutazione dell’importanza del contributo, il collegio presieduto da Pierluigi Di Stefano concorda del tutto con la Dda di Palermo: il cellulare “pulito” – cioè intestato a un prestanome – che dava la possibilità di connettersi a Internet e alla messaggistica difficilmente intercettabile, non serviva solo per i contatti tra il latitante ricoverato e il suo favoreggiatore Andrea Bonafede classe ’69, impiegato del Comune di Campobello di Mazara (Trapani) recentemente condannato.
E sostenere, come ha fatto il riesame, che Leone “abbia manifestato un’allarmante disponibilità nei confronti del sodalizio mafioso”, per poi affermare che in fondo il suo comportamento fu occasionale, al momento del ricovero di Messina Denaro, è “contraddittorio”. La Cassazione si spinge infatti a sostenere che a carico dell’indagato si potrebbe persino configurare “l’ipotesi partecipativa”: non più il concorso esterno, ma l’associazione mafiosa.
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