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Oggi la cerimonia di commemorazione del 41° anniversario dell’attentato a Rocco Chinnici e alla sua scorta

Il 29 luglio 1983 alle 8.05 del mattino una Fiat 126 verde imbottita con 75 chili di tritolo esplose in via Pipitone Federico a Palermo

Il 29 luglio 1983 alle 8.05 del mattino una Fiat 126 verde imbottita con 75 chili di tritolo esplose in via Pipitone Federico a Palermo: il giudice Rocco Chinnici, il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi, portiere dello stabile in cui abitava il giudice, persero la vita. Chinnici stava per salire sulla sua Alfetta blindata, e il boss di Resuttana, Antonino Madonia, azionò il telecomando proprio nel momento in cui il giudice originario di Misilmeri era accanto alla 126: Palermo, si disse allora, era diventata una “Beirut”.

Grande precursore della moderna lotta alla mafia, Chinnici credeva fermamente nell’importanza della cultura e del lavoro. Tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, di fronte a una mafia sempre più violenta e potente, portò coraggiosamente avanti il suo lavoro di magistrato con straordinarie intuizioni e una eccezionale forza innovativa. Alla fine del 1979 fu nominato capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo e creò il Pool antimafia, chiamando a sé colleghi allora giovani, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Diede inoltre un prezioso contributo tecnico alla stesura della legge Rognoni-La Torre e, in particolare, alla definizione del reato di associazione “di tipo mafioso” (art. 416 bis del Codice Penale) e al potenziamento della prevenzione patrimoniale. Fu inoltre il primo magistrato a uscire dalle aule dei Tribunali per andare nelle scuole e parlare ai ragazzi dei pericoli della droga, il cui traffico mondiale era, allora, l’attività principale della mafia. L’obiettivo era sensibilizzare le nuove generazioni su questa grave minaccia alla democrazia. Con le sue intuizioni e innovazioni e con il suo impegno, Rocco Chinnici ha dunque segnato profondamente la cultura dei magistrati italiani, lo sviluppo della legislazione e dell’azione di contrasto alle organizzazioni criminali.

“Mio padre non è stato soltanto un magistrato che ha combattuto la mafia nelle aule di giustizia – racconta la figlia Caterina Chinnici, europarlamentare – ma ha portato il proprio impegno anche sul piano legislativo e operativo, innovando profondamente l’azione di contrasto alle organizzazioni criminali con la creazione del pool antimafia, con il contributo decisivo all’introduzione del reato di associazione a delinquere di tipo mafioso e delle misure di contrasto patrimoniali, e con l’avvio delle prime indagini bancarie e societarie. Rocco Chinnici credeva fortemente nella necessità di accompagnare l’azione di contrasto investigativa e giudiziaria, con un’opera di profondo rinnovamento culturale, di stimolo delle coscienze individuali e collettive”.

“Ciascuno, diceva, rivolgendosi in particolare ai giovani – conclude Chinnici – deve sentire imperioso il bisogno di compiere il proprio dovere di cittadino, perché la mafia possa essere affrontata e contrastata davvero con successo. E considerava, quale strumento straordinario di quest’opera, proprio la cultura. La cultura è libertà, queste le sue parole, nelle quali credo fermamente anch’io. Lavoro e cultura rappresentavano per lui le ‘armi’ più efficaci per combattere quell’acquiescenza al sistema su cui la mafia costruisce il proprio potere e si radica sul territorio”.

“Il giudice Rocco Chinnici credeva fortemente nell’importanza che nella società, e soprattutto nei più giovani, nascesse una nuova coscienza nel contrasto alla mafia. E la sua lezione non va dimenticata: vincere contro la criminalità organizzata è una conquista quotidiana che richiede un cambiamento culturale. Lui per primo diede il via a una svolta nella lotta a cosa nostra creando un metodo che ancora adesso dà i suoi frutti. I suoi insegnamenti sono quanto mai attuali ed è nostro dovere custodirli e metterli in pratica”. Lo dichiara il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, che stamattina ha partecipato alla cerimonia di commemorazione in occasione del 41° anniversario dell’attentato in cui persero la vita il capo dell’Ufficio istruzione, Rocco Chinnici, i due uomini della sua scorta, il maresciallo Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, e Stefano Li Sacchi, il portiere dello stabile nel quale il giudice viveva, ferito, invece l’autista dell’auto blindata del magistrato, Giovanni Paparcuri.

“Il 29 luglio di 41 anni fa la Sicilia e l’Italia piangevano Rocco Chinnici, barbaramente ucciso dalla violenza mafiosa che strappò alla vita anche il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi. Alle loro famiglie oggi ci stringiamo, esprimendo vicinanza e cordoglio. Di Chinnici rimarranno indelebili il coraggio e la memoria di uomo di Stato determinato a sconfiggere la mafia attraverso strumenti innovativi e di grande efficacia”. Così il Presidente della Camera dei deputati. Lorenzo Fontana.

“Il magistrato pagò con la vita lo straordinario lavoro con il quale, grazie a eccezionali capacità investigative e all’impiego di innovativi metodi di indagine, aveva saputo imprimere una svolta decisiva nella lotta alla criminalità organizzata. Onorare la sua memoria e quella di tutte le vittime di mafia significa rendere un doveroso tributo al coraggio di chi non ha avuto esitazioni nel sacrificare quanto di più prezioso per combattere ogni forma di violenza e prevaricazione. Ricordare la figura di Rocco Chinnici vuol dire soprattutto raccoglierne il prezioso testimone per consegnare alle nuove generazioni l’esempio di un Servitore dello Stato che non ha mai chinato il capo nella quotidiana battaglia per l’affermazione dei valori di legalità e giustizia”, sottolinea in una nota il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.

“Oggi ricordiamo il 41esimo anniversario dell’assassinio del magistrato Rocco Chinnici, pioniere della lotta alla criminalità organizzata e ideatore del ‘pool antimafia’. Il 29 luglio del 1983 veniva ucciso nel vile attentato di via Pipitone, ma il suo esempio vive ancora. La sua dedizione incrollabile alla giustizia ci ispira a proseguire con determinazione nella battaglia per la legalità”. Lo ha detto il ministro per le Riforme istituzionali e la Semplificazione normativa Elisabetta Casellati.


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