Il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini non è presente in aula oggi al processo che lo vede imputato a Palermo con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio per aver ritardato lo sbarco, quando era ministro dell’Interno, di 147 migranti a bordo della nave della ong Open Arms, nell’agosto del 2019. Non è presente neanche il difensore del leader della Lega, l’avvocato Giulia Buongiorno. La difesa oggi viene rappresentata dagli avvocati Francesco Colozzi e Luigi Carta. In programma oggi – dinanzi alla II sezione penale del tribunale , Roberto Murgia – l’esame degli ultimi testi di parte civile. Tra cui non vi è oggi l’attore statunitense Richard Gere. Nella scorsa udienza infatti la Corte aveva invitato le parti a concludere l’esame dei testi entro la data di oggi con un ultima possibilità (anche per Gere) per la data del 12 gennaio quando è già stato fissato l’esame dell’imputato Matteo Salvini.
“La situazione di stress a bordo di Open Arms con i migranti che si gettavano in mare era conosciuta perché veniva comunicata giornalmente e la nostra nave, quando eravamo oramai ormeggiati fuori Lampedusa, era circondata e pattugliata da mezzi navali della guardia costiera e della guardia di finanza. Io stesso ho parlato telefonicamente con il comandante della guardia costiera di Lampedusa, facendo presente la situazione”. Lo ha detto Riccardo Gatti, presidente di Open Arms Italia e capo missione, deponendo oggi a Palermo come teste il processo che vede imputato l’ex ministro degli interni, Matteo Salvini, con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio per aver ritardato lo sbarcodi 147 migranti a bordo della nave della ong Open Arms, nell’agosto del 2019. Riccardo Gatti ha inoltre aggiunto che “a bordo si lavorava per far si che i diritti delle persone venissero rispettati. In 89, per quel che ricordo, manifestarono la la volontà di chiedere asilo politico”.
“Ci fu chi si lanciò in mare per la totale disperazione. Ricordo di avere parlato un giorno con un giovane che mi disse che non lo avrebbe mai fatto perché non sapeva nuotare e poi il giorno dopo si lanciò in mare. Parlando con lo psicologo mi disse che erano tentativi di suicidio. I salvataggi furono effettuati dal nostro personale e anche gli agenti della guardia costiera di gettarono in mare per salvare i migranti”. Lo ha detto Riccardo Gatti, presidente di Open Arms Italia e capo missione, deponendo oggi a Palermo come teste il processo che vede imputato l’ex ministro degli interni, Matteo Salvini, con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio per aver ritardato lo sbarcodi 147 migranti a bordo della nave della ong Open Arms, nell’agosto del 2019. Secondo Gatti – che ha deposto nell’aula bunker del carcere Ucciardone dinanzi alla Corte presieduta da Roberto Murgia – tra le altre cose anche la Spagna offrì il POS (Place of Safety), il porto sicuro. “Ma in quelle condizioni critiche a bordo i due porti spagnoli erano il primo a 1000 miglia e il secondo a 500 miglia di distanza, ovvero da 2 a 5 giorni di navigazione. Era – ha precisato Gatti – una soluzione impraticabile secondo la valutazione fatta dal comandante della nave”.
“La Libia non è un posto sicuro, anche nel 2019. Questo non lo stabiliscono le ong ma le convenzioni internazionali e la costante violazione dei diritti delle persone che rientrano nel cosiddetto circolo della violenza per coloro che hanno tentato più volte di fuggire dalla Libia”. Lo ha detto Riccardo Gatti, presidente di Open Arms Italia e capo missione, deponendo oggi a Palermo come teste il processo che vede imputato l’ex ministro degli interni, Matteo Salvini, con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio per aver ritardato lo sbarcodi 147 migranti a bordo della nave della ong Open Arms, nell’agosto del 2019. Gatti ha ricordato – rispondendo alle domande dei legali di parte civile – che “le condizioni a bordo, dopo 3 salvataggi, erano critiche. C’era una emergenza di tipo igienico-sanitaria, tanto che alcuni erano stati sbarcati per casi di scabbia che non potevano essere trattati a bordo. E c’era – ha proseguito – un’emergenza al livello psicologico, che aumentava col passare del tempo a bordo. C’era difficoltà a mantenere la calma tra i migranti che non riuscivano a capire cosa stava succedendo e diventava sempre più difficile mantenere il rapporto di fiducia nei nostri confronti”.
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