Il testo sull’Autonomia differenziata approdato alla Camera mette a rischio l’unità nazionale a favore di “spinte secessiniste istituzionalizzate”, creando “disparità di trattamento” a danno della solidarietà nazionale e determinando un “impatto disastroso per la Sicilia”: è il giudizio durissimo formulato dai vescovi siciliani. “In primo – spiega la Cesi – luogo manca un esplicito e necessario richiamo all’art. 2 Cost. fonte del dovere di solidarietà sociale in favore dei soggetti meno abbienti, che costituirebbe un ulteriore e migliore ancoraggio costituzionale anche a garanzia e vincolo nella determinazione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni”.
Il testo “richiama l’attenzione sul pericolo di evitare disparità di trattamento sull’intero territorio nazionale, ma è proprio dalle previsioni normative in esso contenute che tale rischio emerge”. “In primo luogo – spiegano i vescovi – appare poco prudente la scelta di consentire al Governo di adottare dei decreti legislativi per la determinazione dei Lep posto che con tale scelta il Parlamento, attraverso delle Commissioni, potrà soltanto esprimere un parere su quanto deciso dal Governo ed in caso di silenzio il Decreto legislativo potrà essere comunque adottato”. Inoltre, si procede “ad individuare le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale, mentre sarebbe più utile prevedere una distribuzione delle responsabilità fiscali per avere delle politiche finanziate in modo responsabile. La compartecipazione si collega alla produttività dei territori regionali, con la conseguenza che territori maggiormente produttivi avrebbero introiti maggiori di altre realtà territoriali con una produttività storicamente ridotta e ciò trasformerebbe la differenziazione in diseguaglianza con l’evidente rischio di colpire concretamente la coesione dei territori mettendo in grave pericolo l’unità nazionale”.
Per i vescovi “non v’è traccia di fondo perequativo di solidarietà nazionale che permetta di riequilibrare le forti disomogeneità territoriali. Fino a che le regioni del meridione (ai fini perequativi vanno integrate le capacità di entrate da economia sommersa delle regioni per avere un dato più affidabile della loro effettiva capacità fiscale) non raggiungono, con un fondo dedicato, almeno la media della capacità fiscale nazionale per abitante non si può affrontare per nessuna regione il tema dell’autonomia differenziata a meno che non si preveda un fondo di solidarietà nazionale vincolato a sanare le disparità delle capacità fiscali territoriali, le cui risorse vengono distribuite con funzioni, sia di compensazione delle risorse attribuite in passato, sia di perequazione”. “Anche la riduzione del cosiddetto ‘fondo complementare’ da 4 miliardi e 400 milioni di euro, a poco più di 700 milioni di euro rappresenta un ulteriore rischio per le regioni più povere. La Sicilia -è l’allarme della Cesi – si trova immersa in questo scenario che potrebbe vedere uno Stato ‘arlecchino’ con 20 regioni con profili istituzionali uno diverso dall’altro. Sulle 23 materie ogni regione potrà scegliere quali avocare a sé e quali no. Ricordiamo che secondo degli studi fatti dalla Ragioneria Generale dello Stato, la Sicilia perderà 1 miliardo e 300 milioni di euro circa l’anno: un impatto disastroso per una economia già in grande sofferenza”. La Cesi ricorda che “la Sicilia ha già dal secolo scorso una sua specialità che è molto più rilevante della differenziazione”. “La classe dirigente politica siciliana – concludono – dovrebbe chiedere al governo nazionale l’attuazione completa dello statuto e non sprecare le risorse in dotazione, in tal modo sarebbe avviato un percorso di superamento delle criticità portate dalla riforma sull’autonomia differenziata. Le fondate superiori preoccupazioni rappresentate siano intese quale stimolo per reagire agli squilibri strutturali ed economici fortemente presenti nel meridione e che potrebbero portare a colpire in modo grave l’unità nazionale in favore di preoccupanti spinte secessioniste istituzionalizzate”.
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